Presentazione.

Presentare questo blog non è semplice per la varietà di argomenti che vi sono sviluppati. Nonostante, infatti, ci presentiamo come una riflessione filosofica, sono diverse discipline toccare.

Con questo lavoro desideriamo mettere a disposizione i nostri studi personali, le nostre “ricerche”. Abbiamo “cercato”, non ci siamo accontentati delle risposte precostituite perché : “Non si fanno esperienze senza porre domande” (Gadamer).

L’essere umano è da sempre che pone domande. La filosofia è da sempre che si occupa dell’uomo sia come soggetto,sia come oggetto occupandosi sia dell’essere umano, che di ciò che c’è universalmente dentro di lui. Non diamo quindi risposte,desideriamo invece “incuriosire” il lettore, affinchè ricerchi. Crediamo infatti: “Non si può insegnare nulla ad un uomo,ma si può solo aiutarlo a trovare la risposta dentro se stesso.” (Galileo)

mercoledì 17 novembre 2010

Crisi della Trascendenza

Signore, vengo a te poiché ho arato in tuo nome. A te la semina. Io ho costruito questo cero. Tocca a te accenderlo. Io ho costruito questo tempio. Tocca a te abitare il suo silenzio.  
A. de Saint – Exupéry
Dostoevskij scrisse che, sulla terra, restano celate molte cose ma, tale limitazione, viene compensata con la ‘misteriosa’ e segreta ‘sensazione’ che si abbia un vivo legame con un altro mondo: ‘celeste’, ‘trascendente’. In quel mondo lassù, dunque, sono innestate le radici di ciò che pensiamo e sentiamo. Lo scrittore russo amava credere che Dio avesse seminato ‘qui’ semenze prese da ‘altri mondi’ per coltivare, tra noi, il Suo giardino. È spuntato, fiorito, tutto ciò che poteva spuntare e fiorire, ma la vita delle cose dipende unicamente dalla sensazione di avere dei collegamenti con mondi misteriosi.
L’uomo postmoderno, purtroppo, giudica volo della fantasia, ingenuo antropocentrismo, alimentare la sensazione che quanto si dà nel ‘nostro’ mondo sia di origine Trascenden te…Cosa accade a chi coltiva simile miscredenza? Dostoevskij, quasi scrivendo una lettera ai disincantati fruitori dei nuovi saperi, avverte: “se dentro di te si indebolisce o si annulla questa sensazione, allora muore in te anche ciò che era stato coltivato. Così diventerai indifferente alla vita e arriverai addirittura ad odiarla”. Queste parole, almeno lo spero, turbano coscienze cloroformizzate dal benessere disanimato e sequestrate da quanto si dà sotto il patrocinio dell’efficiente, del verificabile, del tecnicamente possibile e, perciò, eticamente lecito. La crisi della Trascendenza non rappresenta, a guardar bene, la liberazione dell’immanente, ma un relazionarsi al qui ed ora sporcato dal sangue del non senso sgocciolante – nell’indifferenza generale – dalla decapitata dimensione Verticale. Le nostre domande, così, diventano un porre problemi per cercare significati a danno del senso che richiede, più che porre domande, di fare di se stessi un quesito esposto al rischio del dialogo col Trascendente.    
I profeti hanno scritto i libri, sono venuti i nostri padri e li hanno messi in opera, quelli dopo di loro li hanno imparati a memoria, ma è venuta questa generazione, li ha copiati e li ha posti inutilizzati sugli scaffali.
(Apoftegmi dei padri del deserto)
Baudrillard sostiene che l’uomo del consumo non ha più ‘finalità, obiettivo, trascendenza’. Anche le ‘istanze malefiche’ sono svanite; infatti, non c’è più bisogno di un faustiano ‘patto col diavolo’ perché ricchezza e gloria sono dono, ormai, di “un ambiente benefico e materno”: la società dell’abbondanza. Baudrillard ipotizza che – semmai avesse stipulato un patto col maligno – la società, in cambio dell’abbondanza, ha ceduto ogni ‘trascendenza’ “ed è ormai tormentata dall’assenza di fini”. Non ci si riconosce più, non si trascende più se stessi. Gli ‘specchi’ ed i ‘vetri’ sono stati sostituiti dalla vetrina; nei primi, l’uomo poteva porsi di fronte alla sua immagine (“per il meglio o per il peggio”); nella ‘vetrina’ – “luogo geometrico del consumo” – non vi ci riflettiamo, ma veniamo assorbiti “nella contemplazione degli oggetti/segni moltiplicati” e ci annulliamo. Viviamo, a detta di Baudrillard, in una bianchezza profilattica di una società satura e l’irruzione di qualsiasi eresia è impossibile in tanta opulenza. Qualcosa accadrà? “Attenderemo le irruzioni brutali e le disgregazioni improvvise che, in maniera tanto imprevedibile, ma certa (…), manderanno in frantumi questa messa bianca”. Ne Il fu Mattia Pascal di Pirandello l’omonimo protagonista si finge morto e si inventa una nuova vita prendendo il nome di Adriano Meis.
Nel Capitolo XII, viene invitato dall’amico Paleari ad assistere ad uno spettacolo di marionette. Si rappresenta la storia di Oreste e Paleari fa un’ipotesi bizzarra: cosa accadrebbe se, proprio mentre la marionetta Oreste sta per vendicarsi sugli uccisori del padre, “si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino”? In quell’ordine di carta il pesante pugno dell’inatteso irromperebbe come un colpo allo stomaco. Oreste, dice Paleari, resterebbe terribilmente sconcertato. Da quello strappo sarebbero penetrati “ogni sorta di mali influssi”. Adriano Meis a lungo pensò alla strana questione posta dal suo amico! “Beate le marionette (…), sulle cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, (…), né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente a prendere gusto alla loro commedia e amare e tenere se stessi in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato”. L’uomo del consumo e l’uomo - marionetta patiscono mutilazioni significative: il primo, colloca l’altezza del suo cielo fin dove arriva la piramide dell’opulenza; il secondo, non conosce strappi nel suo cielo perché ottuso affettivamente.
In senso orizzontale ed in senso Verticale, alle due configurazioni antropologiche, non necessita alcuna T(t)rascendenza. Di cosa vive, a queste latitudini, l’uomo? Ne Il mondo fuori controllo, Zbigniew Brzezinski, risponde: ci alimenta la cornucopia permissiva. Si tratta del mitico corno che allattò Zeus: si riempiva di ciò che il proprietario desiderava. Con questo riferimento, Brzezinski polemizza contro una società che consente a chiunque di fare ciò che vuole a fronte di un declino inesorabile dei tradizionali criteri morali. Si esalta, ormai, l’autogratificazione materiale ed i desideri individuali sono tutti buoni.
Signore, abbiate pietà del cristiano che dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, del forzato della vita che s’imbarca solo nella notte, sotto un cielo che non rischiarano più i consolanti fari dell’antica speranza.
J. – K. Huysmans
Nel 1989, Benedetto XVI, allora cardinale Ratzinger, rifletteva sulla profonda disperazione dell’umanità contemporanea mascherata con un ottimismo ufficiale di facciata. Il ‘Regno di Dio’, aggiungeva, ha lasciato il posto, “nella coscienza generale dei cristiani” – quasi del tutto – all’“utopia del futuro mondo migliore”. Non più si attende il ‘Regno’ che trascende gli ‘orizzonti soteriologici’ di fattura umana, ma un ‘futuro’ programmato; voluto, non atteso! F. A. von Hayek, che incardina la filosofia politica sul superamento della religione e della morale, ammette che “il declino dell’influenza religiosa” è da considerarsi “senza dubbio una delle principali cause della nostra attuale mancanza di orientamento intellettuale e morale”. Tacitare le provocazioni Trascendenti impoverisce le istanze immanenti. Per dirla con Nietzsche: l’orizzonte, per l’uomo della conoscenza, torna libero, ma non è sereno! Allegramente e sbrigativamente ci si è sbarazzati delle inquietudini trascendenti (Verticali/ Orizzontali); la svista fatale è stata quella di non tenere conto di quanto Annick de Souzenelle richiama: “si dimentica troppo spesso che la trascendenza abita in noi che, paradossalmente, ci è…immanente”; sì, essa è “intrinsecamente legata alla natura stessa dell’uomo”. A questo punto, onestamente, corriamo il rischio di cercare o dentro o fuori di noi, dimenticando che Trascendenza indica non un luogo, ma una tensione, una relazione. L’uomo si  realizza ‘pienamente’ qui ed ora solo se è capace di amore! Capace di autentico amore significa (e qui si inaugura la relazione col Trascendente) essere capax Dei! L’immanente amore è un riflesso del Trascendente Amante. Possiamo esprimerci con una immagine di Kierkegaard: “Come il lago tranquillo che ha la sua origine profonda nella sorgente nascosta che nessun occhio riesce a vedere, così l’amore dell’uomo ha un’origine ancor più profonda nell’amore di Dio. Se non ci fosse nessuna sorgente nel fondo, se Dio non fosse l’amore, non ci sarebbe il piccolo lago (…), l’amore dell’uomo. Come il laghetto ha la sua origine nella profonda sorgente, così l’amore dell’uomo si fonda direttamente in quello di Dio”.
Parlare a Dio sopra la testa degli uomini. No. Parlare a Dio in mezzo agli uomini. Assieme con gli uomini. Dio ne udrà il rumore.
E. Ionesco
Non è da escludere che il linguaggio poetico, simbolico possa molto per evitare che i collegamenti col Trascendente divengano sentieri interrotti (Heidegger). Il pensiero calcolante non merita l’intera scena. Il linguista e critico letterario Steiner crede alla pressione assolutamente innegabile di una Presenza aliena alla spiegazione. Se l’uomo si realizza non nel consumo (Baudrillard) o nella serafica ma idiota imperturbabilità della marionetta
(Pirandello), ma nell’amore, occorre che ne sia nutrito prima di poterlo donare. Insegnavano gli Scolastici: non si può dare ciò che non si ha. Qualcuno ha sostenuto che siamo nell’era del vuoto e non sarebbe inutile, per quanti salutano con allegria la crisi della Trascendenza, meditare su quanto sosteneva Simone Weil: l’uomo diviene capace di peccare a causa dell’esistenza del vuoto:
“Tutti i peccati sono tentativi di colmare dei vuoti”. La teologia che vuole accendere nell’uomo la sete della Trascendenza deve seguire Jüngel che definisce verità formulata l’espressione Dio è amore ma, per evitare si coaguli in formula, “deve essere sia vissuta che pensata”. Jüngel ritiene che “il compito della teologia” è proprio quello di pensare “Dio come amore”. Occuparsi delle ‘cose ultime’, di ciò che sta Oltre non è una colpevole ‘vacanza del pensiero’. Indicativo è che, dalla penna di due non teologi, K. Bohrer e K. Scheel, giunga una precisazione che rema contro certo positivismo aggressivo oltre misura: “Interrogarsi su Dio sia nel mondo della teologia, sia con lo sguardo rivolto agli elementi religiosi presenti nel mondo secolare, è un esercizio (…). Chi lo rifiuta danneggia se stesso: il credente la propria anima, il non credente il proprio intelletto”. L’uomo dell’efficienza commette l’errore, per dirla con René Char, di attardarsi nel solco dei risultati. Non restare impagliati ed impigliati nell’immanente significa credere che, accanto alla fatica per il significato, meriti spazio la fiducia nel senso. Lo scienziato Max Planck sostiene che dobbiamo “coltivare sia le nostre facoltà scientifiche sia quelle religiose, se intendiamo sviluppare appieno la nostra natura”.
In fondo, argomenta L. Ferry, il cristianesimo è un umanesimo “perché colloca l’uomo al centro della creazione e gli attribuisce, in quest’ordine intramondano, il posto più eminente: quello dell’essere creato a immagine di Dio”. Relazione – riguardo al Trascendente -, non esclusione! Il poeta Esenin scrisse di non volere cieli senza scale; il problema, però, è che sempre più spesso gli uomini si danno da fare per costruire scale altissime e sofisticate, ma non hanno il gusto di salire…fanno per fare!
L’unica arte che ci possa servire in tempi come questi [è] quella di guardare senza paura la realtà negli occhi e di fare senza paura ciò che è giusto.
F. Dürrenmatt
C’è un clima di totale sfiducia riguardo all’importanza che ha il fare i conti con  provocazioni di natura Trascendente. La crisi della cristianità dipende anche dall’ammirazione ottusa per l’immediato e dalla svalutazione di quanto non è meramente fenomenico. Emile Poulat, nel 1999, rilevava: “Il cristianesimo è apparso in un universo in cui tutto era religioso. Ora noi viviamo in un mondo uscito da Dio”. Il paganesimo, le altre forme di sacro erano contrapposte al cristianesimo, ma l’atmosfera era comunque satura di aromi religiosi; ormai, al più, resiste un confuso e discutibile spiritualismo! Un tempo, l’uomo guardava al Trascendente per sviluppare la somiglianza con Dio di Cui sentiva di essere già l’immagine; un germe divino doveva crescere per realizzarci pienamente. Diceva Agostino: Quantumcumque si extenderit in id quod aeternum est, tanto magis inde formatur ad imaginem Dei (Quanto più si estende a ciò che è eterno, tanto più ne è formato a immagine di Dio).
L’uomo di Pirandello, invece, invidia le marionette per la loro pace garantita, in fondo, da un cielo di cartone sotto il quale stare senza attese, ansie, paure…Agostino, invece, filtrando nel suo insegnamento il fulcro dell’antropologia cristiana, coglieva il senso pieno del cuore inquieto: “Dio – scriveva – facendo aspettare amplia il desiderio; facendo desiderare amplia l’anima; ampliando l’anima la rende capace di ricevere”. Nell’itinerario agostiniano, il trascendersi non è in vista di una autorealizzazione da intendersi secondo il dettato dei patrocinatori del self-made-man; piuttosto, la ricerca di sé è finalizzata a trascendersi nell’incontro con la Trascendenza. Quando trionfa l’etica procedurale, pare fastidioso considerare cosa e quanto il cristianesimo chiede all’uomo. L’etica procedurale, infatti, fonda su due cardini:
1) ogni decisione in campo etico deve scaturire da una decisione di dimensione sociale; 2) la religione patisce una grave infondatezza riguardo al consenso sociale. Questo ‘modello etico’, che rimuove il Trascendente, scrive Bruguès, “si pone in una prospettiva decisamente positivista. Le norme morali sarebbero semplicemente delle convenzioni che la società si dà, così come nel caso delle regole di un gioco. Lasciando le esigenze primordiali del bene e del male alle convinzioni personali, la società si erge a fondamento ultimo dei valori morali”. Scriveva Nietzsche che dappertutto, nelle ‘esposizioni morali’ del cristianesimo, si rintracciano pretese esagerate e ciò avviene “affinché l’uomo non possa soddisfarle”. Come giustifica il filosofo tedesco questa posizione? La sua ermeneutica sospettosa – pregiudiziale porta a concludere che ciò si verifica in quanto “l’intenzione” – del cristianesimo – “non è che” l’uomo “diventi morale, bensì che egli si senta il più possibile peccatore”. Se Trascendente è sinonimo di invadente, estrinseco non sorprende una reazione come quella nicciana alle provocazioni etiche provenienti dalla dimensione verticale. In realtà, la terapia della coscientizzazione – umanizzazione piena dell’uomo che la Legge del Dio biblico presenta non diverrà mai accanimento terapeutico etico perché la Trascendenza non agisce nella Storia senza la nostra collaborazione.  
Se si crede nella divinità di Cristo, bisogna avere caro il mondo, pur dovendo lottare per sopportarlo.
Flannery O’ Connor
Siamo nel tempo in cui, per dirla con Matthias Horx, trionfa il supermarket della Fede, con cambiamenti veloci e infinite combinazioni. Si privilegiano – come se fossero l’Assoluto – valori e principi imposti dalla moda. Per Kierkegaard, chi intrattiene un rapporto ‘assoluto’ con quanto è ‘relativo’, agisce da ‘piccolo borghese’. Molti credenti, smarrito un autentico rapporto col Trascendente, sono proprio così: qualche principio morale desunto dal Vangelo ed adattato, magari, ad usum Delphini; un po’ di sincretismo religioso e si spera che respirare in questa atmosfera, più spiritualista che religiosa, faccia ‘stare meglio’! Siamo di fronte ad un quesito: può incidere in positivo il Dio che ci facciamo sul mondo che abitiamo? Non è questione nuova; infatti, in una lettera a Rüdiger Schleicher, datata 8 aprile 1936, scrive Bonhoeffer: “O stabilisco io il luogo in cui voglio trovare Dio, oppure mi lascio indicare da Dio il luogo in cui egli vuol essere trovato. Se sono io a dire dove Dio deve essere, allora là troverò sempre un Dio che in qualche modo (…) è affine alla mia essenza. Se invece è Dio a dire dove vuole essere (…) questo sarà un luogo che in un primo momento (…) non mi piace affatto. E questo luogo è la croce di Gesù”. Ammettiamolo: è duro, urtante accettare la tesi del teologo luterano; chi vuole essere cristiano, però, non può guardare altrove...resta la Croce che si configge in terra (immanenza) e si innalza verso il cielo (trascendenza) e presenta le braccia del Cristo aperte a destra ed a sinistra a voler sottintendere che la salvezza è offerta in tutte le direzioni. Per dire tutto questo, la teologia – sostiene Jossua – deve esprimersi con un linguaggio imbevuto di esperienza, ma capace di suscitare “una passione per il trascendente”. La teologia ha bisogno di parole che provochino la Parola affinché si innesti, come la Croce sulla quale troviamo Cristo (Parola definitiva di Dio), nel mondo.
Vi è solo un modo corretto di guardare il mondo: lo sguardo che Dio stesso rivolge al mondo.
J. H. Newman
Ma è davvero necessaria la passione per la Trascendenza? F. Viola, riflettendo sul ruolo pubblico svolto nella ‘società multiculturale’ dalla religione, scrive: “il pericolo maggiore della cristianità contemporanea è quello di perdere il senso della trascendenza e (…) della vita eterna (…). Un cristianesimo senza trascendenza sarebbe un cristianesimo morale e (…) sociale, ma perderebbe ogni ragione per distinguersi da una concezione secolare”. Quanti credono, ad esempio, pur professandosi cristiani, che risorgeremo? Quanti davvero credono nella vita eterna? Ci si reputa troppo smaliziati per non affermare che certe pretese cristiane appartengono ad una mitologia oggi improponibi le. Tolta la dimensione Trascendente il cristianesimo di cui parliamo è ancora cristianesimo? Sembra che Dio sia, ormai, una faccenda privata, un’opzione esercitata o tralasciata dal soggetto; il mondo diviene sempre più un affare di cui si occupano politica, economia,  scienza. La fede cristiana pare in grado soltanto di offrire qualche indicazione etica da rinegoziare nella confusa polifonia dell’ethos postmoderno. C’è una frattura drammatica di cui tenere conto: quella tra le istanze evangeliche e le istanze secolari. Mantenerla o giustificarla promuovendo uno sterile irenismo non è bene: si snatura la propria fede e si priva il mondo di una opportunità. Il teologo K. Lehmann, infatti, ha ricordato che “la Scrittura vede sempre un nesso tra l’uomo, il mondo e Dio. Nel contesto in cui compare ‘Dio’, si parla anche sempre della profonda e radicale messa in questione o conferimento di senso, in cui viene inserita anche la realtà nella sua interezza”. Siamo afflitti da quella che definirei esagerazione della storicità; cioè, non usciamo – patendo l’amnesia della Trascendenza – dalla convinzione che il mondo si sia, per dirla con Paul Celan, “inabissato nel niente della storia”. Tutto ha senso e realtà solo nell’ora, nel qui. Infine, dal solo uomo, siamo passati all’uomo solo incapace di rinnovare autenticamente se stesso ed il mondo. Ha avuto ragione un intellettuale tedesco del Novecento a scrivere che gli altari abbandonati vengono occupati dai demoni (Ernst Jünger). Jean Guitton affermava che il tacere sull’essenziale non è sempre un bene! Viviamo, diceva, in società ciarliere, eppure, proprio sull’essenziale cresce a velocità esponenziale il silenzio; aggiungeva con una non lieve punta d’amarezza: “Questo silenzio lo si trova anche tra i cristiani”. Guitton definiva strano il silenzio riguardo al Trascendente che è, concludeva, il primo oggetto della fede e l’ultimo oggetto della ragione.
Ricevo continuamente me stesso dalle mani divine.
R. Guardini
Laddove non si entra più in relazione col Trascendente per mezzo della lezione cristiana, o vi è indifferenza verso quanto ci trascende o, al più, confusione. Pessoa scrisse che ci si moltiplica per sentirsi e, per sentirsi, occorre aver sentito tutto; così, concludeva, “in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente”. Siamo politeisti confusi e smarriti. Tentiamo, però, di percorrere tre strade: 1) riattiviamo le domande fondamentali. Scriveva Franz Werfel ne Il cielo sottratto (1939): “Quando, da giovane, me ne andavo in giro per le strade della città, mi veniva voglia di prendere per il collo tutta quella gente dalle facce ottuse e di gridargli: fermatevi un momento a riflettere e a porvi questi immensi interrogativi: Da Dove – Verso Dove – Perché! Io ho saputo molto presto che la rivolta contro Dio è la ragione di tutte le nostre miserie”. Se le ‘domande giuste’ non vengono indirizzate nella ‘giusta direzione’, si finisce nello sgomento! 2) osserviamo cosa e come è diventata una vita che rigetta la fede cristiana. Kasper ha detto qualcosa che ai superficiali appare solo retorica: “Non è possibile cancellare la realtà Dio e pensare che tutto rimanga come prima”. Non incide più di tanto sulla realtà osservarla come se il Trascendente non ci fosse? Il fatto è che, scrive De Certeau, “la religione – nell’epoca moderna – comincia a essere percepita dall’esterno. Viene collocata nella categoria del costume, o in quella delle contingenze storiche”. Un sostenitore del positivismo giuridico, Kelsen, afferma che la democrazia moderna mostra due caratteristiche: ‘apprezzamento della scienza razionale’ ed esclusione da essa di ogni ‘intrusione metafisico/ religiosa’. Va davvero bene così? 3) chiediamoci se  conoscere ‘il come’ (Know how) renda superfluo riflettere ‘sul perché’ (Know why)delle cose. Il cardinale austriaco Christoph Schönborn afferma che l’identità dell’uomo europeo si dà nella tensione fra “una capacità di buon orientamento in campo materiale” ed un disorientamento allarmante “in campo spirituale”. Si è sempre più attenti a sapere il come (Know how) delle cose [aspetto funzionale] e sempre meno interessati al senso, al perché (Know why) delle cose [aspetto spirituale]. 
‘Dio è sempre già lì’ (Zundel). Dio non ha bisogno di manifestarsi alla sua creatura, è la creatura che deve manifestarsi a Dio.
Maïté Soulié
Aver fede nell’immortalità, nella Trascendenza – rileva Jung – consente “alla vita quel fluire indisturbato verso il futuro di cui essa ha bisogno per evitare ristagni e regressioni”. Spento il desiderio dell’Oltre, la vita si arresta nel puntiforme come allucinata su miraggi. Credo, tuttavia, di dover sottoscrivere il noto aforisma di Jean Delumeau: Dio che nei tempi passati era meno vivente di quanto si credesse, oggi è meno morto di quanto alcuni ritengono. Dietro le ‘forme deviate’ di religiosità, di spiritualità vaga e fondata su di un discutibile sincretismo, non è l’inquietudine che anela al Trascendente ancora ad agire? Accettiamo il consiglio di Rahner:
abbandoniamo l’idea funzionale di Dio. Il teologo tedesco intitolò polemicamente un suo articolo La trascendenza non utilizzabile di Dio per spiegare che se Dio è il nostro senso ultimo, lo è solo “se lo cerchiamo per amore suo e non come il nostro compimento attraverso tale senso”. Fruttuoso sarebbe anche realizzare l’insegnamento di H. U. von Balthasar: desistere dal considerare ‘ascesi, introspezione, mistica…’ come macchine da guerra per espugnare Dio come se fosse una fortezza ben protetta; Egli, piuttosto, è una casa piena di porte aperte. La religione è meno della fede: la prima, cerca di portare Dio dalla nostra parte; la seconda, invece, insegna che siamo noi a dover stare dalla parte di Dio. A questa distinzione devono prestare attenzione anche i teologi.
Il filosofo Michel Henry richiama una lezione di Hegel: Dio non è riducibile a materia di insegnamento, di studio; infatti, essendo la vita, Lo si può ‘comprendere’ soltanto attraverso la vita. Hegel elogiava i teologi medievali per la loro ricchezza spirituale e definiva quelli moderni ragionieri; si comportano, diceva Hegel, come impiegati di un negozio che trascrivono in libri contabili ricchezze non loro. I teologi privi di spiritualità non fanno altro che essere tutto storia, critica…possiedono monete virtuali di cristianesimo. Il cristianesimo mette ogni uomo in relazione vitale con l’altro perché il Vangelo è vita cristiana prima di essere alimento per un pensiero cristiano.
Madeleine Delbrêl, che predicava la Buona Novella ad Ivry, sobborgo di Parigi fieramente avverso alla visione cristiana del mondo, disse che “quando teniamo il Vangelo tra le mani, dovremmo pensare che lì abita il Verbo che vuol farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il suo cuore innestato sul nostro, con il suo spirito comunicante col nostro spirito noi diamo un inizio nuovo alla sua vita in un altro luogo, in un altro tempo, in un’altra società umana”.    
Chi è Dio, se non colui che ci costringe a porci questo interrogativo?
A. Frossard
Da quanto detto non discende il deprezzamento del pensiero, della ragione; se ne intende criticare unicamente il disseccarsi affettivo. Senza scomodare i recenti insegnamenti della Chiesa, ricordo appena cosa scrisse San Giovanni della Croce: “un solo pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo; quindi solo Dio ne è degno”. Si deve riuscire ad attivare un pensiero, un linguaggio capaci di parlare all’uomo contemporaneo per accendere la passione per la Trascendenza. L’intoppo che maggiormente ci frena è, rileva Roberto Mancini, questo: “oggi ci troviamo a vivere in un’epoca di angoscia nella quale vale la privatizzazione del futuro: chi può cerca di ritagliarsi garanzie private”. Il cristiano non può considerare la fede un fatto privato. Non può nemmeno imporla con la forza, certo; deve, tuttavia, proporla con forza! Si tratta di non ghettizzarsi. Il cristiano entra, esce dal tempio per annunciare il senso della Trascendenza nel suo tempo.
Gli ebrei, che molto amavano il Tempio, convergono sulla nostra posizione. In un midrash al Deuteronomio, si legge: “I sacrifici erano offerti soltanto entro il tempio, ma la rettitudine e la giustizia si esercitano tanto dentro che fuori”. Se non si testimonia il Trascendente non si vive da autentici cristiani la propria missione nell’immanente. Verità, questa, che fa ininterrottamente i conti con la questione sollevata da J. A. Beckford nel 1991 parlando del rapporto tra religione e società industriale avanzata: pur conservando un enorme potere di richiamo sugli individui, la religione “è andata alla deriva, abbandonando i precedenti punti di ancoraggio”. Essa è divenuta, per il nostro autore, ‘invisibile (come sosteneva pure Thomas Luckmann negli anni Sessanta), emozionale, diffusa, implicita, religione dello scenario, individualizzatrice’. Gli insegnamenti della Chiesa cattolica, però, hanno più ampio respiro. Esaminiamo due punti della Novo Millennio Ineunte di Giovanni Paolo II. Al n. 31 c’è, in prima battuta, la valorizzazione dei percorsi soggettivi in fatto di fede: “i percorsi della santità sono personali” e, dunque, si richiede una pedagogia della santità che “sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone”. La santità, tuttavia, non si lascia morire, per asfissia, rinchiudendosi entro parametri egologici; la Chiesa, piuttosto, intende la santità come servizio. Al n. 43 della Novo Millennio Ineunte, si passa dal soggetto al mondo: la Chiesa deve essere casa e scuola della comunione e necessita, perciò, la promozione di una spiritualità della comunione elevata a principio educativo.
Maledetto colui che ha ricevuto la grazia di pensare bene e di parlare bene di Dio e non si mette al servizio degli umili.
San Bernardo
La Trascendenza, pensata in termini trinitari, si dà, concretizzando si in Chiesa, come casa che accoglie tutti: santi e peccatori; inoltre, è scuola educante all’alterità in accezione Verticale ed orizzontale. Per vivere bene la relazione con l’altro, occorre prima comprendere il senso della relazione con l’Altro, che è il Trascendente, ma non l’indifferente. Jacobi, in una lettera a Fichte, sottolineava l’importanza di relazionarsi a Dio come Altro: “se non trovo Dio fuori di me, davanti a me, sopra di me, sicché sono io a doverlo porre come essere in sé, sono io stesso, in forza della mia egoità, a venire assolutamente così designato, e il primo e supremo comandamento sarebbe di non avere altri dei fuori di me”. Se l’Io pone Dio finisce che il farsi Dio deponga – colpendolo a morte – il misero sovrano io! Jacobi non lascia scampo: “o Dio è un essere vivente fuori di me, esistente per sé o io sono Dio: non c’è una terza possibilità”. Nel Novecento, scrive Barth: “quando l’uomo di fronte a Dio gioca ad essere il signore, egli non può per prima cosa che cercare il dominio sull’altro uomo e l’altro uomo non può che venirgli incontro con la stessa pretesa”. In rapporto alla Trascendenza l’uomo è regale perché si regala a Dio collaborando al progetto – creazione. La creatura è signore nella creazione e non della o sulla (o, peggio, contro) la creazione. Per comprendere il concetto, si pensi all’Eden: “Il giardino di Eden (…) non era certo una specie di paese di cuccagna (…). Un giardino va coltivato e curato (…). Tuttavia (…) esiste già. L’uomo non lo deve prima creare (…) iniziamo sempre da qualcosa (…) che ci ha già donato Dio. Siamo sempre, prima che si esiga qualcosa da noi, persone che hanno ricevuto (…) il dono di noi stessi e (…) di un mondo intero” (E. Jüngel). La Trascendenza è donazione di un bene che diviene compito! Per questo, forse, San Francesco d’Assisi, scrisse che “generiamo Cristo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli uomini in esempio”. Cristo è dono del Padre, ma la testimonianza del Cristo donato è compito da realizzare.
La Trascendenza si incarna nel Figlio che dona lo Spirito che ispira i fedeli ad incarnare, volta per volta, Cristo nelle azioni sante compiute per esemplificare l’Amore del Padre. Lasciare operare la Trascendenza nelle situazioni significa fare in modo che essa faccia nuove tutte le cose infondendovi, direbbe Buber, la grazia di poter – iniziare – di nuovo. Giona è profeta ribelle e, geloso della fede del suo popolo, non tollera che a Ninive ci si converta umiliando gli ebrei, popolo di dura cervice. Senza gioia, entusiasmo e, dopo aver tentato di uscire dal cammino tracciato per lui da Dio, predica ai niniviti che, alla fine, si convertono! Paolo De Benedetti ci invita ad ammirare gli abitanti di Ninive perché “in quel profeta stizzoso e sgradevole riuscirono a discernere il lamento divino da quello umano e si convertirono”. Gli abitanti del mondo contemporaneo e di quello futuro avranno la capacità di distinguere, nelle nostre approssimative e sgraziate testimonianze, la voce di Dio? Travasare i succhi vitali della Trascendenza nel mondo è sempre più difficile, ma si deve fare l’impossibile, per parafrasare Mauriac, affinché tutti percepiscano la Parola nella balbuzie dei Suoi servitori.
È possibile servire Dio solo imitandolo.
Clemente Alessandrino
La testimonianza della Trascendenza ‘qui ed ora’, richiede: a) di essere Suoi annunciatori per amore e senza scopi reconditi; b) di vivere la missione come donazione di sé. In entrambi i casi, ci guida Teresa di Lisieux che fondava la propria vocazione su ‘tre privilegi’: essere Carmelitana, Sposa e Madre. Avrebbe voluto svolgere la sua missione, confessava, “dalla creazione del mondo (…) fino alla consumazione dei secoli”. In una lettera del 1897, aggiungeva: “Conto proprio di non restare inattiva in Cielo”. Essere testimoni della Trascendenza è operare da missionari, ovunque siamo, affinché la Chiesa sia sempre più luogo di accoglienza. Il Sinodo per l’Africa del 94 ha definito la Chiesa famiglia di Dio ed ha elevato il concetto ad “idea – guida per l’evangelizzazione dell’Africa” (Ecclesia in Africa, 63). Il desiderio di Teresa di Lisieux di essere missionaria anche in cielo è volontà di congiungersi al Trascendente, ma portandosi  mondo ed uomini nel cuore per consegnarli al Padre. Il Trascendente si è vestito di carne in Cristo per esemplificare la condotta che deve assumere chi si modella sul Logos. L’atteggiamento kenotico (di spoliazione, depotenziamento) divino connette Trascendenza ed immanenza. La visita di Dio inauguratasi col di Maria mostra che alterità del Trascendente non significa impossibilità relazionale. L’uomo cerca Dio, ma è innanzitutto Dio che cerca l’uomo. Ha scritto Schillebeeckx: “Gesù non vive mai di astrazioni o norme generali – egli vede l’uomo sempre nella sua situazione concretissima. Per questo poté essere così sorprendentemente, travolgentemente umano verso il prossimo”. Si può parlare di Chiesa – famiglia – casa perché Dio stesso è, oso dire, un Concetto – famiglia, essendo unione dinamica (pericoresi) di Padre, Figlio e Spirito Santo.
Siamo troppo orgogliosi per accettare di non essere nulla e troppo vili per rispondere alla chiamata che ci ingiunge di essere tutto.
G. Thibon
L’amore verso Dio non è servilismo! L’uomo biblico si rapporta al Trascendente in maniera dialettica. Scrive Paolo De Benedetti: “La Bibbia (…) è in un certo senso la storia dei giusti che hanno tenuto testa a Dio: come Abramo quando difese Sodoma e Gomorra, come Giacobbe quando lottò con l’angelo – dio (…), come Mosé quando si oppose alla riprovazione del popolo peccatore (…). L’uomo discute con Dio e non si lascia costringere: ecco perché nella Bibbia il rapporto fra i due si chiama alleanza piuttosto che fede; fede solo nel senso che l’uomo si fida dell’alleato”. Se apriamo il libro delle preghiere per eccellenza contenuto nell’Antico Testamento, quello dei Salmi, ci accorgiamo che l’atteggiamento orante non è sentimentalismo, né melassa con cui farcire il rapporto con la Trascendenza. Scrive Enzo Bianchi che i salmisti si rivolgono a Dio con franchezza e senza precauzione; non ‘frasi contorte’, né ‘spirito servile’, ma da quelle preghiere erompe, piuttosto, il “loro dolore” e “la loro ferita grida fino a rimproverare Dio”. Si tratta di un linguaggio, dice giustamente Bianchi, che solo “può stupire noi figli della teologia della trascendenza assoluta di Dio”. Il Trascendente Assoluto per l’uomo biblico, sempre concreto e reale e mai pallida res cogitans, non è astrazione, ma un interlocutore, un confidente, uno a cui parlare a tu per tu. Dio gradisce i discorsi irriverenti di Giobbe, il suo grido che trasforma in accusa un pur giusto taccuino di lagnanze, mentre criticherà la ortodossa teologia degli amici dello sventurato. Il fatto è che, a precedere e ad oltrepassare la teologia (che può permettersi, con maggiore insistenza e frequenza, di essere politically correct), c’è la fede che – aliena alla tentazione del religioso di piegare Dio dalla propria parte – si configura non come un conoscere l’Oggetto da parte del soggetto, ma come un drammatico contrapporsi tra soggetto e Soggetto. Possiamo, allora, definire giusti quelli che tengono testa a Dio? Sì! Per contrapporsi a qualcuno è necessario credere che esista e sia in grado di dialogare.
Il Dio della Bibbia non è, infatti, come gli idoli che non parlano. Abramo e Mosé, poi, non disputarono con Dio per motivi teoretici, ma per patrocinare finanche la causa di peccatori. Dio ama chi, a differenza di Caino, non chiede se è il custode del fratello, ma si batte in sua difesa in ogni caso! Quelli che disputarono con Dio insegnano che l’amore per il Trascendente non esonera dal prestare attenzione all’immanente; che non si può amare Dio al punto da disprezzare l’uomo. Chi oggi si professasse avversario della Trascendenza avrebbe già fatto molto; infatti, ormai, abbiamo solo anime tiepide e capaci, al massimo, di scimmiottare un ateismo d’indifferenza! C’è più fede nel fiero contrapporsi a Dio da parte di Abramo, Giacobbe, Mosé, Giobbe che in un atteggiamento di sottomissione dovuto ad ignavia, a pusillanimità. Ma c’è oggi chi si fa forgiare carattere, cuore, mente esponendosi alle provocazioni trascendenti? Non credo. Il problema è che, scrive Colombo, il modello di vita dei cristiani è quello dominante nella cultura ambiente, che tende ad omologare cristiani e non cristiani “nelle medesime forme e nel medesimo stile di vita”. Spiace dirlo, ma Fede – Speranza – Amore sono “la merce invenduta del Nuovo Testamento” (G. Grass). Siamo cristiani con riserva; crediamo, ma ‘fino a un certo punto’ e salvo alcuni ‘ragionevoli dubbi’. Monsignor Hulst, prima di morire, pare che abbia detto: ‘Io non ho mai rinnegato Dio nemmeno un momento in tutta la mia vita…Spero che ne terrà conto’. Si può fare professione di fede e dubitare che ciò sia gradito a Dio? L’ansietà, l’incertezza che devasta il cuore umano si trasferisce nel rapporto con la Trascendenza e credo avesse ragione Pareyson a dire che, affinché si possa definire attuale il cristianesimo, esso deve coraggiosamente fare i conti con la presente possibilità della sua negazione.
Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo e l’antropocentrismo, la Chiesa, seguendo il Cristo, cerca di coniugarli nella storia dell’uomo in maniera organica e profonda.
Giovanni Paolo II
È meglio vivere in Colui che è l’Infinito, e rallegrarsi che sia l’Infinito, anziché tentare sempre di limitare la sua incommensurabilità nello stretto spazio dei nostri cuori.
T. Merton
Il regista teatrale Nicolas Stemann spiegò in questi termini la sua decisione di portare in scena un lavoro di Kleist: “ho voluto porre alcune questioni, che oggi sembrano essere fuori moda: la questione della fede, della fiducia, dell’amore (…) da tempo è diventato chiaro che una vita senza fede è molto deficitaria”. Al disorientamento assiologico, dovuto alla confusione regnante nell’ethos postmoderno, corrisponde una metamorfosi negativa della teologia morale. Questa, a dire di T. Goffi, si presenta, ormai, con le caratteristiche di una semplice etica umana e l’orizzonte di fede entro cui si inscrive è limitato. Non si riceve più dalla Rivelazione “novità contenutistica di norme nuove. Il senso morale si ricava dall’umano in evoluzione culturale”. La comunità ecclesiale subisce l’influenza della cultura laica secolare e Dio risulta ininfluente sulle nuove culture. Giovanni Paolo II ragionava su di una scissione letale: il teocentrismo – Dio al ‘centro’ delle nostre esistenze – rende il Trascendente avversario dell’umano e ne minaccia la piena realizzazione. L’antropocentrismo, sbarazzandosi di quanto trascende l’umano, si configura, piuttosto, come antropoassolutismo. L’uomo si pensa, con orgoglio infondato, assoluto. Va detto che absolutus significa ‘sciolto, da solo’. Il solo uomo è l’uomo solo. In realtà, Dio ed uomo si incontrano definitivamente nel Logos sarx! L’intera comunità cristiana, sottolinea Zulehner, è uno spazio “nella storia e nella società” nel quale trova accoglienza quanto ancora non ha trovato definitiva collocazione: il regno di Dio! “La comunità cristiana, per il nostro autore, diviene (…) un luogo, un tópos della ‘prassi del cielo’”; o, potremmo dire, un luogo in cui si fa prassi – gradatamente - l’essenza del Trascendente. Il problema, a mio avviso, sta nel fatto che l’uomo non vuole più saperne di parole come anima – mistero – Trascendenza. Il nostro vocabolario accoglie solo i sinonimi di ‘efficienza e produttività’. Il dialogo con Dio, invece, il riferimento al Trascendente, interessa ciò che non è in nessun caso sequestrabile entro categorie razionalizzanti, tecniciste o scientiste.
Scrive Natoli: “La relazione Dio – uomo è istituita in” un “gioco di reciproci spiazzamenti. Dio manda l’uomo innanzi a sé, ma non si fa mai trovare in quel luogo in cui l’uomo crede di poterlo raggiungere”. Lasciare operare la Trascendenza apre un gioco che impegna e, come sostenuto da Casel, anche “se la rivelazione dall’alto discende dalla libertà divina, dobbiamo comunque compiere i nostri sforzi per salire lentamente e farci trasportare dal noto all’ignoto”. Ma come può il nostro tempo desemantizzato, catturato entro parametri quantitativi consentire un fecondo rapporto col Trascendente? Baudrillard riportava delle considerazioni svolte da Norman Mailer. Questi ha dimostrato che il succo di arancia congelato o liquido in cartoni ha un prezzo più alto: “vengono inclusi i due minuti guadagnati rispetto alla preparazione del prodotto congelato: al consumatore è (…) venduto il proprio tempo libero”. Cosa è accaduto? Il tempo della nostra esistenza si è fatto “scomponibile, astratto, cronometrato” e “diviene (…) omogeneo al sistema del valore di scambio (…) allo stesso titolo di qualsiasi altro oggetto”. Può interessarsi a quanto è eterno un uomo che si fa vendere il tempo? Come essere testimoni dell’eterno se non sappiamo più amministrare saggiamente il tempo? Chi vuole lasciare irrompere la Trascendenza nel sonnolento mondo dell’opulenza imbecille (Roszak) deve assumere, ahimé!, proprio il ruolo di testimone per mostrare all’umanità che la realtà non è, come si esprime Ruffray, un enorme orfanotrofio: abbiamo un Padre, un creatore. Dobbiamo uscire, affinché la voce della Trascendenza non si riduca ad un brusio di angeli (Berger), dalle seduzioni di quella che Fromm definì l’industria che vince la noia; anche se, si affrettò a precisare, essa può solo riuscire ad impedire che la noia diventi un fatto cosciente. Si tratta, inoltre, di abolire la tirannia di un tempo cronologico e mortalmente impermeabile alle irruzioni kairologiche. Lo storico della civiltà e delle idee Mumford, scrisse: “Con l’invenzione dell’orologio l’eternità gradualmente cessò di essere la misura e lo scopo delle azioni umane. È stato l’orologio e non la macchina a vapore a dare l’avvio alla moderna era industriale”.
Necessario è lasciare di nuovo intersecare il tempo con l’Eterno, per riprendere un’espressione di Eliot! Dobbiamo diventare testimoni di un tempo altro. Se facciamo attenzione alla prima ed ultima parola del primo versetto di Deuteronomio 6, 4, cioè, Ascolta (she) ed Uno (׳echad), ci accorgiamo che la prima termina con la lettera ׳ayin e la seconda con dalet; ebbene, non è per caso che sono state scritte con caratteri più grandi rispetto alle altre parole.
Ecco come si spiega la cosa: se congiungiamo le due lettere, si ottiene la parola ׳ed, testimone. Come insegnava il rabbino Kopciowski, ciò “serve a ricordare all’ebreo” – ma la lezione è valida anche per noi – “il suo continuo impegno di testimoniare fra i popoli l’esistenza, l’eternità, la rivelazione di Dio”.  
CONCLUSIONE
La chiesa (…) è là dove la ‘realtà di Gesù’ tramite lo Spirito è resa attuale, è accolta nella fede e realizzata nell’amore.
W. Kasper
Gianfranco Grieco, dei Frati Minori Conventuali, indica ‘cinque vie pasquali’ o ‘vie del Cristo Risorto’ [1]. Si tratta, spiega, di percorrere innanzitutto la via che conduce al Calvario per poi gioire della Risurrezione, ed infine di scendere dal monte della gloria e camminare “per le strade del mondo”. Dopo che il Trascendente, nel Figlio, è venuto tra noi, è morto ed è risorto, abbiamo il compito di percorrere le ‘vie pasquali’ che, dice il nostro autore, “ci portano a essere ‘Testimoni del Risorto’”, della, mi piace dire, Trascendenza fattasi amica dell’uomo. Ecco il percorso tracciato da Grieco:
a) La ‘Via di Damasco’: l’annuncio.
Paolo, dopo essere stato folgorato dal Signore sulla via di Damasco,  “raccontò (…) come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come (…) aveva predicato con coraggio nel nome del Signore”(At 9, 27). La visita della Trascendenza apre cammini di annuncio a beneficio degli altri. Grieco invita alla “riorganizzazione della prassi pastorale dell’ iniziazione cristiana”.
b) La ‘Via di Gerico’: il servizio.
Riscoprire, di là di tutto, la carità. Se il modello di Chiesa al quale facciamo riferimento è quello della famiglia – casa, accogliere e servire sono movimenti essenziali. La chiesa è come la locanda dell’episodio di Luca (10, 25): accoglie l’uomo ferito che, spesso, non solo lì viene condotto da un Samaritano, ma è lui stesso Samaritano (simboleggia l’uomo che, pregiudizialmente, riteniamo incapace di amore e di comprendere i punti essenziali della nostra fede). La Trascendenza ama essere cercata nelle tracce minime e generalmente disprezzate disseminate nell’immanenza. Come insegnava San Francesco di Sales, si cade in una vera e propria eresia quando si vuol tenere fuori dalla bottega degli artigiani la devozione. Scrive Grieco: “Come una madre ama il figlio, così il fratello deve amare il fratello che Dio gli ha posto accanto, per condividere il comune cammino che porta alla santità. Cercare i fratelli sulla ‘Via di Gerico’ vuol dire servire, dare ali alla fantasia della carità”.
c) La ‘Via di Emmaus’: la celebrazione.
Quando i due viandanti ritratti da Luca (24, 13) riconoscono nello straniero che incontrano il Cristo? Quando ‘spezza il pane’. Ecco la fede celebrata. Il Trascendente vive nel memoriale eucaristico che attualizza realmente il gesto agapico di Gesù. Si deve riaccendere, a mio avviso, la passione per la Trascendenza nell’uomo d’oggi anche attraverso una intelligente rivalutazione della liturgia. Ecco un segmento della tesi di Grieco: “La liturgia è missionaria perché è un luogo in cui la fede, essendo celebrata, è soprattutto proposta”. Il fulcro della comunicazione Trascendente si rende ‘visibile, attuale’ e mostra tutta la propria Bellezza.
d) La ‘Via di Gerusalemme’: la comunione.
Dopo l’esperienza di Emmaus, i due viandanti, vinta l’amarezza per l’incomprensione del disegno divino su Gesù che, in primo luogo, era parso fallimentare, tornano a Gerusalemme a gioire con altri per la rivelazione ricevuta. Celebrare va bene, comprendere meglio, ma senza la comunione l’esperienza cristiana rimane sterile. Non mira, infatti, a strutturare un soggetto capace di successi mondani o meramente intellettuali, ma a creare comunione, chiesa…
Grieco tocca profondità ammirevoli:
“Solo la comunione genera la vita personale e comunitaria. L’impossibilità di ‘dare la vita da soli’ vale non soltanto sotto il profilo biologico, ma pure (e forse più ancora) sotto quello spirituale”. Come a dire: chi non è capace di trascendersi per conascere più che conoscere assieme ai fratelli, non è degno di riconoscersi alla luce rivelativa della Trascendenza; non può affermare, come faceva Evdokimov, che quando dico io esisto sto traducendo – parzialmente – in linguaggio umano l’affermazione di Dio, Io sono Colui che è!
e) La ‘Via della Galilea’: la missione (Cfr., Mt 28, 7; Mc 16, 7).
In questi passi evangelici si legge che il Risorto precede i Suoi in Galilea…In Galilea, sul monte, i discepoli si sentono rivolgere l’invito alla missione: ‘Andate…e ammaestrate tutte le nazioni’ (Mt 28, 19). Ma Gesù ci precede anche, come mostra il Vangelo di Giovanni (20, 17), nel salire al Padre. Ci precede in direzione immanente ed in direzione Trascendente! Se la meta è la comunione col Padre, il precederci di Cristo in Galilea significa che si sale alla ‘dimora celeste’, si va all’abbraccio con il Trascendente, sottolinea Grieco, “soltanto andando (…) sulle strade del mondo, portando il Vangelo a tutte le nazioni, portando il dono del suo amore agli uomini di tutti i tempi”.  Ma dov’è la soglia che, varcata, immette nella Trascendenza? Laddove incontro l’altro, dove c’è comunità e comunione. Il luogo della Trascendenza è la Chiesa e vi accedo ogni volta che, fossero anche quelli della più mal ridotta chiesetta di campagna, ne salgo i gradini. Tutto inizia salendo il primo gradino di una chiesa: se lo facciamo per attivare i ‘percorsi pasquali’ suggeriti da Grieco, siamo sulla buona strada. Riporto, infine, l’esperienza di Romano Guardini:
“Li hai saliti infinite volte [i gradini della chiesa]. Ma hai mai penetrato quello che, in quel mentre, avveniva in te? Avviene infatti qualcosa in noi quando ascendiamo. Soltanto, è cosa molto delicata e silenziosa, che si può facilmente lasciar perdere senza percepirla. Qui si manifesta un grande mistero. Uno di quei fenomeni che procedono dal fondamento della nostra essenza umana; enigmatico, non lo si può risolvere in concetti, eppure ognuno lo intende, perché è il nostro intimo che vi parla. Quando saliamo i gradini, non sale soltanto il piede, bensì anche tutto l’essere nostro. Anche spiritualmente noi saliamo. E se lo facciamo consapevolmente, presentiamo di ascendere a quell’altezza dove tutto è grande e compiuto: cioè al cielo in cui abita Dio (…). È dall’ essenza nostra che ci scaturisce il senso che il basso è similitudine del meschino (…), l’alto similitudine del nobile e del buono (…). Non lo possiamo spiegare, però è così: lo percepiamo, lo intuiamo. Perciò quei gradini (…) dicono: ‘Tu sali alla casa della preghiera, più vicino a Dio’ (…) e dalla navata della chiesa al coro nuovi gradini che dicono: ‘Ora ti introduci presso l’Altissimo’ (…). ‘Levati i calzari, questo è terreno sacro’”.
Il mistero dell’incontro con la Trascendenza prende avvio dalla semplice decisione di salire i gradini di una chiesa perché l’ Incontro con Dio è sempre la conseguenza di un vero desiderio di comunione in direzione orizzontale e Verticale.
In crisi, forse, non è la Trascendenza, bensì il nostro desiderio di salire, ascendere, incontrare e farsi incontrare.
Sanare le patologie dell’immanenza serve anche a smascherare l’inganno di attribuire ogni male alla Trascendenza.
L’uomo può farsi, per parafrasare un’espressione di Heidegger, pastore del Trascendente; coltivare l’attesa di Dio, ma non pretendere di rintracciare, in questi discorsi, lacune irrecuperabili o certezze inattaccabili.
Guarire l’arroganza della ragione è fondamentale per essere fruttuosamente ricettivi nei confronti della Trascendenza. Scriveva Michel de Montaigne:
“è difficile portare sulla nostra bilancia le cose divine, senza che esse non vi abbiano un calo (…). Bisogna contentarsi della luce che al sole piace mandarci coi suoi raggi; e colui che alzerà gli occhi per riceverne sul suo corpo una più grande, non trovi strano se per castigo della sua tracotanza vi perde la vista”.
Dio si dona calandosi nella storia e l’uomo deve semplicemente lasciarlo entrare o lasciarlo fuori dalle proprie vicende. Come ha scritto Dario Antiseri – mostrando in che genere di rapporto stiano Trascendenza ed immanenza – la “fede è dono a parte Dei, e scelta a parte hominis”.

[1] Cfr., id., ‘…come a lampada che brilla…’ (Cfr., 2Pt 1, 16 – 19). Meditazioni francescane, Milano 2007, pp. 59 – 71. 

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