L’opuscolo che avete tra le mani è stato interamente scritto grazie all’ospitalità di una persona che mi ha insegnato cosa significhi davvero “donare il cuore”: mi ha donato il mio concependomi e continua a donare il suo accogliendomi con amore impareggiabile. Dedico, per questo e per tanti altri innumerevoli benefici ricevuti, lo scritto che leggerete a mia mamma Livia con un GRAZIE che dice, allo stesso tempo, poco e tutto! Il cuore di una madre è quanto più si avvicini al “lato misericordioso di Dio” perché, diceva un Padre della Chiesa, “Dio si femminizza amando”.
È il cuore che fa tutto (Molière)
Mentre la vita si riempie di strumenti tecnici, di meraviglie meccaniche, di utensili di ogni sorta, l’anima e il cuore rimangono vuoti (María Zambrano)
1.La proposta cristiana: “formare il proprio cuore”
Ecco, in sintesi, il dramma della nostra epoca: l’affollamento di aggeggi tecnologici altamente sofisticati fa risaltare, ancor più dolorosamente, la vuotezza dell’anima e del cuore; in una parola: viene sottolineata cinicamente la pochezza interiore dell’uomo! Un soccorso importante può arrivare, però, dalla ripresa di temi antropologico – etici di provenienza biblico – teologica. Il pensiero cristiano ha conferito uno spessore notevole alla categoria cuore. Tentiamo, attraverso un medagliere di citazioni, di mostrare che l’antropologia cristiana non patisce alcuna forma di amnesia riguardo alle dimensioni essenziali della persona. Giovanni Crisostomo riteneva che, trovare la chiave del proprio cuore conduce ad una sconvolgente (in accezione positiva) scoperta: è la stessa chiave che apre la porta del Regno di Dio. In un Apoftegma si legge che la salvezza dipende dall’avere un po’ di cuore. Salvarsi è possibile solo facendo dono del cuore ai fratelli ed a Dio; per questo, Sant’Agostino, scriveva: «Dio non si aspetta da te delle parole, ma il tuo cuore». Il vaniloquio non è il meglio dell’uomo, poiché i nostri tesori, quelli graditi a Dio, vengono dalle più profonde scaturigini del nostro essere. Dio ama quello che, comunemente, è meno visibile, o invisibile agli altri: Egli – sottoscrive in uno dei Sermoni Johannes Tauler – «è innamorato dei nostri cuori»! L’agire, insegna la morale cristiana, dipende dall’essere (operari sequitur esse); deriva, cioè, dalla retta formazione interiore. “Educare il cuore” significa distribuirne i frutti, le “azioni eccellenti”, nel mondo: «Da un cuore puro nascono i frutti di una buona vita» - si legge ne L’imitazione di Cristo. L’antropologia biblica, come mostreremo meglio in seguito, ritiene che, tra le altre importanti funzioni, il cuore svolge anche quella di “sede del pensiero”; ebbene, un moralista francese, non si allontana da questa convinzione: «I grandi pensieri vengono dal cuore». L’ha detto, nella Introduzione alla conoscenza dello spirito umano, Vauvenargues. Il discernimento, le cui procedure sono ben note a chi vive una spiritualità forte, impone uno scavo inesausto, umile di se stessi perché, solo nelle zone più profonde della persona, la voce divina rivela in quale direzione andare. Ne L’abbandono nella divina provvidenza, Pierre de Caussade, scrive: «Bisogna sondare ciò che il cuore dice, poiché esso interpreta la volontà di Dio». Suggestivo e fondamentale: il “cuore” è il solo ermeneuta capace di illustrare ciò che Dio si aspetta da noi. Il compito che ci attende, però, è faticoso: sondare il cuore! Si può fare, ma soltanto se non permettiamo – come afferma in esergo la Zambrano – agli “strumenti tecnici”, alle “meraviglie” elettroniche, informatiche di ingombrarci la vita. L’affollamento di ‘cose’ e di ‘mezzi’ è radicalmente diverso dalla pienezza conseguente ad un cuore formato secondo le indicazioni bibliche. Le uniche cose delle quali la vita può essere positivamente piena sono adorazione e contemplazione: «Quando il cuore è pieno di adorante tenerezza – insegnava Serafino di Sarov –, lì c’è Dio». Il sapere acquisito negli ambiti tecnico/pratico/scientifici non autorizza a voltare le spalle alla sapienza; l’“intelligenza delle cose” non sostituisce la capacità di “aprire il cuore” al Trascendente. Il cristiano, che non deve assolutamente avversare i saperi mondani, ha una verità complementare ad essi da rivelare: «L’intelligenza non è forte se il cuore non è grande» (Henri Massis). L’incapacità dell’uomo di percepire, oggi, almeno il brusio della Trascendenza (P. L. Berger) è dovuta alla gran confusione (interiore ed esteriore) nella quale viene avviluppato. La “voce di Dio”, insegna la Bibbia, non è necessariamente nella tempesta, ma può decidere di raggiungerci anche come voce do “vento sottile”. È la nota esperienza fatta dal profeta Elia. Gli uomini devono imparare nuovamente la lezione di un monaco del Togo: «Dio non è nel disordine delle cose, ma nel silenzio del cuore». Ecco perché esso – come diceva Molière – è tutto! Siamo, sostengono due studiosi, riprendendo un’espressione di Spinoza, nell’epoca delle passioni tristi [1]. Diventa sempre più difficile avere, anche per i cristiani più convinti, come auspicava Nietzsche, un volto da salvati! I cristiani, a fronte dei “profeti di sventura” che piantano tende stinte sul terreno bruciato dal salnitro (Montale) della postmodernità per predicare la “crisi dellaTrascendenza”, ribattano: noi abbiamo una novità (novella) buona da proporrre, il Vangelo! Attraversarlo e lasciarsene attraversare equivale a portare il cuore nella palestra della gioia, perché, come Cristo testimonia, il Signore è buono. Il cristiano non è superficialmente ottimista, o gioioso perché ignora i mali del mondo; piuttosto, sa con certezza che, qualunque cosa accada, il Signore ha detto che sarà con noi fino alla fine dei giorni. È questa convinzione che ci fa dire, con San Gregorio Magno, che segno infallibile d’essere in grazia di Dio è la gioia del cuore. L’uomo si accontenta, per lo più, di un vago benessere psicologico; oppure, di stare magicamente tra congegni tecnologici che gli diano l’impressione (ma solo questa) di essere, in qualche modo, onnipotente come quel dio del quale, stando così le cose, pensa di poter fare a meno. Se – come diceva il sociologo Max Weber – ormai non siamo che gaudenti senza cuore [2], la “proposta cristiana” ci dice che la pienezza della vita (non il suo affollamento) sta nella gioia del cuore.
2.L’importanza del “cuore” nella cultura umana. Excursus storico.
… non vi sono che due generi di persone che possano essere definite ragionevoli: coloro che servono Dio con tutto il cuore, perché lo conoscono, o coloro che lo cercano con tutto il cuore, perché non lo conoscono (B. Pascal)
Facciamo un enorme salto all’indietro nel tempo: siamo, così, tornati a circa 30000 anni fa quando, un ignoto artista, in una grotta nel nord della Spagna, traccia una sagoma. Si tratta della raffigurazione di un mammut la cui sorprendente peculiarità risiede nel fatto di aver collocato una immagine a forma di cuore esattamente laddove doveva trovarsi. Il graffito di El Pidal, nelle Asturie (Spagna), dunque, già rivela come il cuore fosse centrale negli interessi umani. Un posto d’onore, in realtà, insidiato soltanto da sangue, fegato e cervello. Spostandoci in Messico, poi, rinveniamo un vaso – statuetta (risalente alla prima metà del primo millennio a. C.) con una interessante caratteristica: rappresenta un individuo il cui corpo è un cuore! Gli studiosi affermano che, questo recente ritrovamento, sia la descrizione anatomica possibile più eccellente, in quel tempo, del muscolo cardiaco. Perché, facciamo un passo indietro, un cacciatore, in quella grotta in Spagna doveva dipingere il mammut in quel modo? Sapeva che, per abbattere la poderosa preda, doveva colpire al cuore e, tale consapevolezza, offre di sicuro, per quanto ci è dato sapere, la più antica illustrazione di questo muscolo. Andiamo in Cina. L’imperatore Hunag Ti (2698 – 2598) scrisse un testo, Nei Tsing che mostra come i Cinesi ritenevano essere il cuore l’organo più importante del corpo. Il nostro organismo, nella loro cultura, era un – possiamo dire – microcosmo riproducente il macrocosmo. L’imperatore, al sicuro nel suo fortificato palazzo, nell’organismo umano è il cuore protetto nella gabbia toracica. La medicina cinese collocava il cuore nella classe degli elementi maschili (yang) ispirandosi a riferimenti altamente simbolici. Una rete di simboli (magico – religiosi) che solo con Ippocrate (460 – 370 a. C.) venne indebolita in favore di osservazioni empirico – razionali. C’è sempre stata una relazione tra “cuore” ed “universo”; non a caso, il primo venne spesso accostato al “sole”. Abbiamo antiche raffigurazioni di un “cuore raggiante”, emanante calore, arricchito di una “corona luminosa”, per esprimere il collegamento forte tra cuore ed “amore” (il calore) e l’“intelligenza superiore” (la luce). Gli Egiziani, annotavano: «È il cuore che fa germogliare ogni conoscenza». L’assoluto abita nell’uomo grazie al cuore! In India, infatti, esso accoglie l’atman; ossia, il riflesso dell’assoluto (Brahman) in noi. Gli Aztechi consideravano yollotli (l’equivalente del nostro ‘cuore’) sede della “vita” e dell’“anima”. Prima di cremare un defunto, poi, usavano mettere nella sua bocca una pietra preziosa simboleggiante proprio il cuore. Va richiamata la tragica, cruenta correlazione “cuore/sole” proprio presso gli Aztechi ed i Maya. Popoli che accumularono una impressionante mole di sacrifici umani per offrire al sole, affinché non smettesse di svolgere le sue vitali funzioni, i cuori appena strappati dal petto delle vittime. Vorrei precisare, con l’ausilio di un noto antropologo, che qui non è in gioco una deprecabile pratica religiosa come i suoi denigratori pretendono di sostenere: quei sacrifici umani in favore del sole, infatti, «erano più magici che religiosi, avendo lo scopo non tanto di piacergli e di propiziarselo, quanto di rinnovare fisicamente le sue energie di calore, luce e moto. La costante richiesta di vittime umane per nutrire il fuoco solare si soddisfaceva muovendo guerra ogni anno alle tribù vicine e riportandone schiere di prigionieri che dovevano essere sacrificati sopra gli altari. Così le continue guerre del Messico e il loro crudele sistema di sacrifici umani, i più mostruosi che la storia ricordi, derivavano, in gran parte, da una errata teoria del sistema solare; non si potrebbero dare esempi più tangibili delle disastrose conseguenze che può avere, in pratica, un errore puramente teoretico» [3]. È bene aver chiaro che, spesso, più che come conseguenze di distorte convinzioni, credenze religiose, molte crudeltà nella storia sono accadute in ossequio ad errate teorie, ad errori puramente teoretici. Mettere frettolosamente sotto accusa il sentimento religioso è intollerabile. Torniamo al nostro excursus storico. Presso gli Indiani Sioux si svolgeva un rito che può risultare macabro ai nostri occhi, ma rivelativo per il tema che stiamo affrontando. I cuori dei nemici più valorosi, dopo essere stati ridotti in polvere, venivano inghiottiti. Il tutto ispirato da una credenza: ci si poteva impossessare, così, della forza altrui. Per i Wuitoto (Colombia meridionale), “cuore”, “memoria”, “pensiero” costituivano un tutt’uno. Il pensiero islamico individua nel cuore la sede concreta, visibile di “spiritualità” e “contemplazione”. La tradizione islamica fa enunciare a Dio un insegnamento: «Il cielo e la terra non mi contengono, ma io sono contenuto nel cuore del mio servitore». In questa ricca tradizione, infine, rintracciamo una importante relazione tra “cuore” e “coppa”: il cuore dell’arif (saggio, iniziato) è simile ad una coppa che, invece di accogliere gustose e preziose bevande, contiene “potenza” e “sapienza”. Interessanti risultano essere antichissimi trattati medici egizi. Risale al 1500 a. C circa il libro sui “vasi del cuore” che mostra inequivocabilmente che esso, non solo costituiva l’organo essenziale per la vita, ma pure il luogo nel quale si generavano spirito, anima e ragione. Recita il Libro dei morti: «Il tuo cuore è con te, come quando tu eri sulla terra». Osiride pesa i cuori dei trapassati su di una bilancia: chi ha condotto una vita irreprensibile è dotato di un cuore leggero ed accede al regno degli déi; chi, all’opposto, ha il cuore pesante, segno inconfondibile di una vita non asservita al bene, patisce un castigo orribile: un mostro terribile ne divora l’anima. Osiride, istruisce il Libro dei morti, si avvale della collaborazione di ben quarantadue terribili giudici! Il cuore umano è posto sul piatto di una bilancia e sull’altro si trova Maat, una sorta di penna per annotare il nome del defunto. L’animale feroce che divora l’anima peccatrice sta ai piedi della bilancia. Una possibile via d’uscita consiste nel dotarsi di un talismano funebre: lo scarabeo del cuore. Lo scarabeo (kheprer) era un sostituto del cuore e si riteneva che conducesse l’intera esistenza simulando perfettamente il corso (degno di venerazione) del sole. Credo, da quanto sono riuscito a raccogliere nella mia ricerca, che andrebbe studiata attentamente la relazione ‘cuore’/‘sole’: il primo si dà come centro dell’essere, mentre il secondo viene eletto a centro del cielo! Simboli decisamente positivi della vita. Il sole, inoltre, evoca regalità. Il re veniva, talvolta, considerato il “centro” del regno che tutto irraggia e dal quale ogni cosa dipende. Luigi XIV veniva chiamato “Re Sole” ed il suo motto era: Io sono lo Stato. Il cuore, allo stesso modo, è re dell’organismo: tutto da esso dipende. Di là dei miti, alla medicina egiziana dobbiamo il vero primo trattato di cardiologia. Risale all’incirca al 1500 – 1400 a. C. È il papiro di Ebers (cognome dello studioso che lo rinvenne). Qual era, secondo l’antichissimo testo, quello che esso stesso definiva l’inizio del segreto del medico? La «conoscenza dei movimenti del cuore e conoscenza del cuore». Significativo è che i sacerdoti svolgevano anche l’ufficio di medico e di esorcista! Un involucro di mummia reca una scritta che convoglia gli aspetti mitico/religiosi della questione: il cuore dell’uomo è il suo proprio Dio! Questo popolo ci ha lasciato un’accurata descrizione del sistema vascolare e non è un caso che il geroglifico egizio che indica il cuore sia costituito da un piccolo vaso. Come Moliére, i sacerdoti e medici egiziani avrebbero esclamato che “il cuore è tutto”! Scomodiamo ancora il papiro di Ebers: «La vista degli occhi, l’udito degli orecchi, la respirazione dell’aria attraverso il naso dipendono dal cuore: è lui che giudica e la lingua annuncia ciò che il cuore ha percepito». La cosmologia menfita sostiene che il dio Path nel cuore progetta la creazione del mondo. Per i cristiani, Dio non ha progettato nel cuore il creato e l’uomo? Non siamo forse nel cuore (equivalente del pensiero) del Padre? Ai riferimenti teologici ebraico – cristiani, giungeremo dopo. Sento di dover, per il momento, lasciare uno spazio alla Filosofia.
3.Le ragioni del cuore: una sosta presso la Filosofia
Io dico che il cuore ama naturalmente l’essere universale (B. Pascal)
La prima descrizione scientifica dell’anatomia del cuore è contenuta in un testo, il Perì kardia, appartenente al Corpus Hippocraticum. L’autore, Ippocrate, viene accolto nei manuali di Storia della Filosofia! Ad ogni buon conto, anche filosofi, per così dire, allo “stato puro”, si occuparono del cuore. Platone (427 – 347 a. C), ad esempio, presenta una struttura dell’anima più articolata del cardiocentrismo di Ippocrate. L’anima è come una piramide che ha alla base l’insieme visceri – fegato (anima vegetativa); al centro sta il cuore (anima irascibile); il vertice (la testa), posto d’onore, spetta al cervello (anima razionale). Aristotele, successivamente, conferisce nuovamente centralità al cuore. Dall’encefalocentrismo platonico al cardiocentrismo aristotelico. Lo Stagirita scriveva che nell’embrione del pollo, a partire dal terzo giorno d’incubazione dell’uovo si nota una “macchia rossa” nel bianco. Macchia palpitante come se fosse dotata di vita: faceva riferimento il cuore! Come la Bibbia insegna, anche per Aristotele dal cuore origina il “pensiero”. Il cuore aveva una valenza metaforica oggi disconosciuta. Una filosofa spagnola, María Zambrano, lamenta che il nostro tempo è orfano di metafore vive e attive. Tra le mancanti spicca quella della luce intellettuale; ebbene, ancor più inattuale si rivela una metafora «in cui la luce gioca un ruolo importante, la luce e la visione, riferita però a un organo distinto dal pensiero, dimenticato da questo e relegato a livello di folclore: il cuore» [4]. La visione attraverso il cuore è solo una metafora arcaica da rigettare? Un organo come il cuore, “distinto dal pensiero”, non è privo di pensiero, né di un ordine autonomi. Merita di vedersi relegato a livello di folclore? Stando ai riferimenti storici rapidamente affrontati, non possiamo rispondere in maniera affermativa. La pensatrice, seminando nel solco delle tradizioni da noi richiamate, conferma che il “cuore” «ha rappresentato tutto, perfino la sede del pensiero in Aristotele, tutto nella poesia e nelle religioni» [5]. Poesia, religione, più che semplice folclore! La Zambrano sottolinea che la Filosofia ha definito “impassibile, indipendente” l’intelletto, sola facoltà deputata ad offrire dati certi e scientificamente controllati. Non è sufficiente. La pensatrice spagnola sostiene con giustificata veemenza che, tra le Scienze, deve godere del diritto di cittadinanza pure «la scienza del cuore che riesce a fare scienza senza cessare di vivere, senza poter, né voler diventare impassibile e indipendente» [6]. Si deve lasciare spazio, non per pietosa concessione, ma per meriti intrinseci, ad una scienza del cuore, ad un sapere dell’anima, perché conoscere non significa soltanto “conoscere scientificamente”. C’è del pathos nel sapere e si dà un pathos che è una forma di sapere! L’uomo emozionale, che attinge principalmente al cuore, non è un ens affettivo che si aggiunge o si contrappone ad una sostanza pensante; non è creatura del pathos contrapposta o aggiunta alla creatura del logos: «L’uomo non è un essere pensante che in più vuole, a cui si aggiungono poi, per farlo più bello o più brutto, oltre al pensare e al volere i sentimenti, ma l’essere nello stato del sentimento (die Zuständlichkeit des Gefühls) è la dimensione originaria di cui pensare e volere fanno parte» [7].
3a.Il cuore ci rende spirituali: Max Scheler, Blaise Pascal e l’ordo amoris
… su queste conoscenze del cuore e dell’istinto […] la ragione deve appoggiarsi, e su queste basare ogni suo discorso (B. Pascal)
L’uomo – secondo Max Scheler – è un “essere spirituale”, non tanto perché “conosce” e vuole”, quanto per il fatto di avere il “cuore”. Esso è il nucleo dell’uomo inteso quale essere spirituale [8]. La filosofia moderna, a partire dall’impianto cartesiano, incardina tenacemente il soggetto sul cogito e pretende di farlo girare unicamente su cardini teoretici che, alla fine, risultano alquanto deboli. Scheler, invece, ragiona entro una curvatura antropologica vitale, vivace, concreta: «L’uomo – scrive con lapidaria chiarezza – prima di essere un ens cogitans o un ens volens, è un ens amans» [9]. La precedenza non va al “pensare” (conoscere), al “volere”, bensì all’“amare”, “forma di conoscenza” nata e coltivata da quella che la Zambrano chiama scienza del cuore. Platone, come riferito, aveva proposto una “struttura triadica dell’anima”: al centro aveva posto il cuore, sede dell’anima irascibile; il cervello, invece, veniva posto al vertice, in quanto sede dell’anima razionale. Viene da lontano, dunque, la convinzione che una scienza, un sapere, maturati nel cuore siano, in realtà, “non scienza”. L’ens amans, cioè, sarebbe un groviglio di confusi sentimenti, una baraonda di stati d’animo. Il sapere è solo faccenda dell’intelletto? Scheler conforta: «il “cuore” dell’uomo non rappresenta affatto un caos di ciechi stati affettivi […]. È […] un microcosmo del mondo dei valori». Citando Pascal, conclude: Le cœur a ses raisons (il cuore ha le sue ragioni). Il filosofo e scienziato, uomo di acclarata fede cristiana, Blaise Pascal, aveva scritto: «Il cuore ha il proprio ordine (le cœur a son ordre); l’intelletto ha il suo, che procede per principi e per dimostrazioni, il cuore ne ha un altro. Non si dimostra che si deve essere amati […]. Gesù Cristo e San Paolo hanno l’ordine della carità (ordre de la charité), non dell’intelletto: […] volevano infiammare, non istruire» [10]. L’ordine del cuore è autonomo ed altro in confronto a quello dell’intelletto, ma non è di valore inferiore, né una mera aggiunta; piuttosto, va detto che l’ordine del cuore si differenzia da quello dell’intelletto perché non ha bisogno di dimostrazioni rigorose per vantare le proprie ragioni: non si può dimostrare – dice giustamente il pensatore francese – che si deve essere amati. Evocando Cristo e Paolo, Pascal mostra che le “ragioni della fede”, del “cristianesimo”, appartenendo per lo più all’ordine del cuore, non hanno la preoccupazione, in primo luogo, di istruire, ma, principalmente, tendono ad infiammare! Le ragioni della fede tendono a coincidere con le ragioni del cuore. Con buona pace di Platone, di Cartesio, il cuore ha le “sue” ragioni e non soltanto un caos di ciechi stati affettivi: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» (Le cœur a ses raisons, que la raison ne connaît point) [11]. A questo segmento riflessivo pascaliano, Scheler appone questo commento: «In modo non molto diverso rispetto al fatto che noi possiamo giudicare sia in modo cieco sia con autentico discernimento, il cuore può amare ed odiare sia in modo cieco sia con autentico discernimento. Non è che il “cuore” abbia anche le sue ragioni, dopo che l’intelletto si sia già pronunciato sulla stessa cosa […]. Il cuore ha le sue ragioni: sue, di cui l’intelletto non sa e non può mai sapere alcunché; e ha ragioni, cioè oggettive ed evidenti convinzioni su fatti rispetto ai quali l’intelletto è totalmente cieco» [12]. Nel nostro excursus storico abbiamo mostrato ampiamente come il simbolismo del cuore avesse strettissimi legami col mondo della religione. La Bibbia non è estranea a queste posizioni e non suscita meraviglia, perciò, che un cristiano come Pascal, annotasse: «È il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ecco cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla ragione» [13]. Il cuore ha bisogno dell’infinito? Di cosa, allora, anzi, di Chi può avere “desiderio” (più che “bisogno”), se non di Dio? Agostino lo diceva: il cuore dell’uomo è inquieto finché non si dona a Dio per acquietarsi in Lui! Sull’Ipponate, Scheler, annota: «Un amore per propria essenza infinito – per quanto esso sia sempre […] legato e concretizzato nella particolare struttura del suo portatore – esige dunque un bene infinito capace di appagarlo […]. “Inquietum cor nostrum donec requiescat in te”. Dio e solo Dio può essere l’apice della struttura graduale e piramidale del regno degli aspetti degni di essere amati» [14]. La lezione del vescovo africano vitaminizzava il sangue di Pascal che, in una frase, dona l’indistruttibile tessuto connettivo tra Scheler ed Agostino: l’uomo «non può essere soddisfatto da qualsiasi sorta di oggetti. Ha il cuore troppo vasto; bisogna almeno che ci sia qualche cosa che gli assomigli e che gli si avvicini il più possibile» [15]. Quanto somiglia al nostro cuore è, in realtà, una Persona: un Chi, non una cosa! È Dio! Ora, finalmente, prenderemo in mano la Bibbia.
4.Il termine cuore nelle Scritture Ebraiche
… è altrettanto inutile e ridicolo che la ragione chieda al cuore prove dei suoi primi principi, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per accettarle (B. Pascal)
La parola ebraica che traduciamo ‘cuore’ è lev (לב). In questa forma il vocabolo ricorre 598 volte; in aramaico, lo si trova in tale forma una sola volta. Riferito unicamente all’essere umano ricorre, invece, 814 volte ed è usato più di nèfesh (anima). Sono 26 le volte in cui si parla del “cuore di Dio”. La lettera con la quale inizia il termine ‘cuore’ è lamed, dodicesima lettera dell’alfabeto ebraico che significava, forse, “pungolo”. Come simbolo aritmetico vale 30. ל (lamed) è «la sola lettera ascendente, e per questa sua forma suggerisce “una torre che si erge nell’aria”, l’aspirazione dell’uomo, l’elevazione del saggio alla ricerca della verità, l’ascesa al sapere per farlo scendere ai comuni mortali; il desiderio di imparare, soprattutto le Sacre Scritture […]. Con questa lettera inizia la parola lev (cuore), sede di amore e saggezza e la parola limùd (studio, insegnamento); ed è l’ultima lettera nella Toràh, che si conclude con la parola Isràel. Particolarmente sul cuore insiste l’esegesi dell’Alfa beta di – rabbi Aqiva: “Non si legga lamed bensì lev mevin da’ at (un cuore che comprende conoscenza; d’altronde questo è l’acrostico del nome di tale lettera). Ciò sta a significare che il cuore fa da contrappeso a tutte le altre parti del corpo messe insieme, poiché l’uomo ha gli occhi, ma anche il cuore ha gli occhi, … e si strazia d’amore”» [16]. “Cuore” e “fede” sono indissolubilmente legati. L’espressione verbale “credo”, infatti, se seguiamo l’etimologia latina, significa cor do, “offro, dono il mio cuore” (il cuore ed il dono, come intende evidenziare il titolo del mio opuscolo, si richiamano necessariamente l’un l’altro!). Che il cuore abbia, infine, le sue specifiche “ragioni spirituali” è mostrato dalla cultura egiziana. I medici e sacerdoti usavano due geroglifici, due vocaboli: haty designava il muscolo cardiaco; ib indicava il cuore in senso spirituale sede dell’anima e della coscienza. In ebraico, evidenziando una innegabile parentela con la terminologia egizia, abbiamo, per marcare la differenza richiamata, lev e lebab.
4a.Cuore e Sacra Scrittura
La condotta di Dio, che dispone ogni cosa con dolcezza, è di porre la religione negli intelletti attraverso la ragione, e nei cuori attraverso la grazia. Ma volerla imporre all’intelletto e nel cuore con la forza e le minacce, non è mettervi la religione, ma il terrore (B. Pascal)
Nella Bibbia troviamo alcune espressioni, parlare con il cuore (Qoèlet 1: 16; 3: 17), pesare il cuore (Proverbi 21: 2), assai vicine alla sensibilità degli egiziani. Gli Israeliti hanno in comune con i sapienti del Nilo anche la convinzione che dal cuore sgorga la vita, come si dice nel Libro dei Proverbi. Nel Nuovo Testamento è molto accentuata, invece, la connotazione antropologico – etica ed, in più, soteriologica! Rari i casi in cui l’uso di ‘cuore’ nelle Scritture ha valenza metaforica (cuore del cielo, Deuteronomio 4: 11; cuore del mare, Esodo 15: 8; cuore della terra, Matteo 12: 40). Si può dire che la Bibbia elegge il cuore a luogo privilegiato dell’incontro con Dio. C’è un interessante accostamento tra lev e nèfesh (anima); a volte, poi, sono anche interscambiabili. Si accentua, così, che, per gli autori sacri, il cuore ha una forte connotazione spirituale. Nel Nuovo Testamento, poi, troviamo il greco kardia (inteso sempre in senso veterotestamentario) 148 volte! Cuore e mente spesso valgono come sinonimi (Fil 4: 7). Nella mentalità biblica, inoltre, la “mancanza di cuore” non indica affatto “crudeltà”, bensì, “stupidità”, in quanto il muscolo cardiaco è sede del pensiero e non, come molta cultura odierna afferma, il ricettacolo di un caos di ciechi stati affettivi. L’antropologia biblica davvero pensa in maniera diversa. Uno studioso francese, il Cocagnac, alla voce “cuore”, ne I simboli biblici (Dehoniane, Bologna 1994), precisa: «Per noi occidentali, il termine “cuore” evoca soprattutto la vita affettiva. Un cuore può essere innamorato, ma anche sensibile, generoso, caritatevole o coraggioso. Un uomo può avere un cuore d’oro o un cuore di pietra, può essere senza cuore o avere il cuore in mano. Per la Bibbia, invece,il cuore è una realtà più ampia, che include tutte le forme della vita intellettiva, tutto il mondo degli affetti e delle emozioni, nonché la sfera dell’inconscio in cui affondano le radici tutte le attività dello spirito». L’intelligenza, nell’uomo biblico, non si dà mai esclusivamente come “attività intellettuale”, ma convoglia “sapienza” ed “esperienza”, “conoscenza”, “moralità”! La “religione del cuore”, qui, contrariamente a quanto si verifica nelle credenze postmoderne, non sfocia in vago spiritualismo, bensì accoglie il pensare, il decidere secondo verità e giustizia; un pensiero, quello biblico, che pure fa i conti con gli sconvolgimenti interiori. Il biblista Gianfranco Ravasi ama particolarmente questa espressione dell’Antico Testamento: Il cuore freme come fremono gli alberi del bosco agitati dal vento (Isaia 7: 2). Ecco la splendida lezione dell’antropologia biblica: “pensiero” ed “affettività” non sono antitetici, ma complementari; vivono in felice tensione gli opposti che costituiscono l’essenza dell’uomo [17]. L’uomo biblico è inevitabilmente compromesso con il Trascendente e lo è, in particolare, animando un rapporto reale Io – Tu (Buber). Dio ci conosce penetrando col Suo sguardo laddove nessun altro potrebbe giungere: Egli – si dice negli Atti degli Apostoli (1: 24; 15: 8) – è kardiognóstes, conoscitore dei cuori. Complesso, affascinante ed altamente provocatorio per la mentalità odierna, legata a ciò che si può sperimentare, toccare, verificare, è il modo di intendere il cuore della Bibbia. In più di 800 passi dedicati al ‘cuore’ un irrisorio numero di essi si occupa della sua anatomia. Il cuore, oltre che conosciuto (da Dio), anela alla conoscenza: «Il cuore intelligente cerca la conoscenza» (Proverbi 15: 14). Salomone, prima di essere Re, prega affinché nel suo petto palpiti un cuore docile. Se per Molière è il cuore che fa tutto, parlando di antropologia biblica ci troviamo costretti a non allontanarci da simile convinzione: «Il cuore dell’uomo determina la sua vita… Il cuore trama progetti perversi» (Proverbi 16: 9; 6: 18). Gesù sottoscrive: dal cuore escono le cattive intenzioni, si legge nel Vangelo di Marco. Il cuore, poi, accomuna profondamente creatura e Creatore; Egli, infatti, ha sentimenti proprio come noi: «Come potrei abbandonarti, Israele?... Il mio cuore si commuove dentro di me, tutte le mie viscere fremono di passione», dice l’Eterno al profeta Osea. Gesù mostra il “Cuore divino” quale “modello” al quale conformare il nostro: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Matteo 11: 28 – 29). Esiste uno studio interessante riguardo alla natura affettiva del Salvatore [18]. Nella presentazione al volume, Romano Penna afferma che, nei confronti di Gesù, «è esistito (e forse esiste ancora) un giudizio, che lo esclude da una umanità ritenuta eccessiva. Ma si tratta di nient’altro che di una tentazione monofisista, che considera indegna contaminazione mondana la condizione da parte sua di ciò che è umano […]! Gesù ha assunto tutta intera la nostra umanità, compresi gli affetti che segnano tanto a fondo la nostra identità quotidiana. Studiare gli affectus di Gesù, dunque, significa prendere sul serio l’incarnazione del Verbo di Dio, che si immerge a fondo nel tessuto vivo della nostra umanità» [19]. Gli “affectus di Gesù”, espressi per mezzo dei verba affectum disseminati nei Vangeli, rivelano il “cuore del Padre”. Impossibile, ora, non pensare alla devozione al Sacro Cuore di Gesù alla quale un apporto notevole conferì santa Margherita Maria Alacoque (1647 – 1690). Cristo insegna a dotarci di un cuore che si fa dono totale. Un tempo era assai noto un particolare simbolo di Cristo: un pellicano che si strappa il cuore per nutrire o ridare vita ai figli! Dio, per mezzo di Cristo, dona il Suo cuore, ce ne nutre e fa nascere in noi un “cuore di carne” che soppianti definitivamente quello vecchio, di “pietra”! Il dono che Cristo fa del Suo cuore è la sola forza in grado di insegnarci a donare totalmente e gratuitamente il nostro.
5.Passeggiare per i giardini della Scrittura con il cuore acceso.
Il cuore è il punto in cui si concentra la totalità dell’essere, sotto il triplo segno dell’unità, dell’interiorità e della solitudine (K. Rahner)
La Bibbia offre numerosi percorsi: a partire da termini particolarmenti significativi, episodi, personaggi… I giardini della Scrittura vanno attraversati, indiscutibilmente, con il cuore acceso! “Amare Dio con tutto il cuore” significa amare allo stesso modo la Parola. La modalità essenziale, per l’uomo di fede, è questa: fare ogni cosa con “tutto il cuore”. Stiliamo un elenco che può anche inaugurare una passeggiata attraverso la Bibbia per mezzo del “segnavia” cuore: amare (Matteo 22: 37; Deuteronomio 6: 5); cercare (Geremia 29: 13; Salmo 119: 2); servire (Romani 1: 9; Giosué 22: 5); lodare (Salmi 9: 1; 86: 12); ubbidire (Salmo 119: 34); fidarsi (Proverbi 3: 5); rallegrarsi (Sofonia 3: 14); ritornare (Gioele 2: 12; Geremia 24: 7); invocare Dio (Salmo 119: 145); essere fedeli al Signore (Atti 11: 23). Proviamo ad indicare delle soste: passi biblici presso i quali fermarsi ad imparare cosa sia il dono del cuore. Scopriamo, nelle diverse, ricche accezioni i termini usati per cuore [לֵבָב (lebab), καρδία (kardia)] e gli insegnamenti che si intendono offrire. Iniziamo da quanto riguarda la gioia, l’ira… i sentimenti.
« “Tu m’hai messo in cuore più gioia di quella che essi provano quando il loro grano e il loro mosto abbondano” (Salmo 4:7); “..altrimenti il vendicatore del sangue, mentre l’ira gli arde in cuore, potrebbe seguire l’omicida e, se questi deve andare troppo lontano, raggiungerlo e colpirlo a morte, mentre non era passibile di morte, perché non aveva prima odiato il compagno” (Deuteronomio 19:6); “Ma la mattina, quando gli fu passata l’ubriachezza, la moglie raccontò a Nabal queste cose; allora gli si freddò il cuore ed egli rimase come di pietra” (1 Samuele 25:37); “Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me?” (Salmi 13:2)» |
« “Allora sua moglie Gezabele gli disse: «Tu ora eserciti il regno su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la darò io la vigna di Nabot di Izreèl!»” (1 Re 21:7). “Non dovrà neppure avere molte mogli, affinché non perverta il suo cuore; neppure dovrà avere grande quantità d'argento e d'oro” (Deuteronomio 17:17); “Tu dicevi in cuor tuo: «Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione” (Isaia 14:13)» |
« “Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze ... Oggi, il SIGNORE, il tuo Dio, ti comanda di mettere in pratica queste leggi e queste prescrizioni; osservale dunque, mettile in pratica con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua” (Deuteronomio 6:5; 26:16); Cfr. “Gesù gli disse: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Matteo 22:37); “Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua”. Il secondo è questo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi». Lo scriba gli disse: «Bene, Maestro! Tu hai detto secondo verità, che vi è un solo Dio e che all’infuori di lui non ce n’è alcun altro; e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l’intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come se stesso, è molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici»” (Marco 12:30-33)» |
Il cuore controlla l’intera esistenza e ne determina l’impostazione dello sfondo etico.
« “Ecco, io faccio come tu hai detto; e ti do un cuore saggio e intelligente: nessuno è stato simile a te nel passato, e nessuno sarà simile a te in futuro” (1 Re 3:12). “L’uomo innocente di mani e puro di cuore, che non eleva l’animo a vanità” (Salmo 24:4); “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Matteo 5:8); “Egli non mi ha forse detto: “È mia sorella?” Anche lei ha detto: “Egli è mio fratello”. Io ho fatto questo nella integrità del mio cuore e con mani innocenti». Dio gli disse nel sogno: «Anch’io so che tu hai fatto questo nella integrità del tuo cuore: ti ho quindi preservato dal peccare contro di me; perciò non ti ho permesso di toccarla” (Genesi 20:5-6); “Poiché, ecco, gli empi tendono l’arco, aggiustano le loro frecce sulla corda per tirarle nell’oscurità, contro i retti di cuore ... Ed egli si curò di loro con un cuore integro e li guidò con mano sapiente” (Salmi 11:2; 78:72); “E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono, e portano frutto con perseveranza” (Luca 8:15)» |
« “Ho preso a difendere la mia giustizia e non cederò; il cuore non mi rimprovera uno solo dei miei giorni” (Giobbe 27:6) “...essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda” (Romani 2:15)» |
« “Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il SIGNORE si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. ... Il SIGNORE sentì un odore soave; e il SIGNORE disse in cuor suo: «Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza; non colpirò più ogni essere vivente come ho fatto” (Genesi 6:5-6; 8:21). » |
Il cuore è “indurito”, “malvagio”, “perverso”, “empio”, “ingannevole”, “maligno”.
« “Io gli indurirò il cuore ed egli non lascerà partire il popolo” (Esodo 4:21); “Labbra ardenti e un cuore malvagio sono come schiuma d’argento spalmata sopra un vaso di terra” (Proverbi 26:23); “I perversi di cuore sono un abominio per il SIGNORE, ma gli integri nella loro condotta gli sono graditi” (Proverbi 11:20); “Gli empi di cuore si abbandonano alla collera, non implorano Dio quando egli li incatena” (Giobbe 36:13); “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?” (Geremia 17:9) » |
« “... tutte le nazioni sono incirconcise, e tutta la casa d’Israele è incirconcisa di cuore” (Geremia 9:26); «“Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d’orecchi, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo; |
« “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne ... Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e metterò in loro un cuore di carne” (Ezechiele 36:26; 11:19); “O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non togliermi il tuo santo Spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza e uno spirito volenteroso mi sostenga. Insegnerò le tue vie ai colpevoli, e i peccatori si convertiranno a te. Liberami dal sangue versato, o Dio, Dio della mia salvezza, e la mia lingua celebrerà la tua giustizia” (Salmi 51:10-14)» |
Dio solo apre il nostro cuore: «C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (Atti 16:14). Rigenerato, il cuore esprime pienamente la fede in Cristo: «...con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati» (Romani 10:10). Mediante lo stesso Spirito riconosciamo Dio come nostro Padre: «E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: “Abbà, Padre”» (Galati 4:6). L’uomo si salva unicamente se non indurisce, non chiude il proprio cuore quando risuona la “Voce di Dio”:
« “Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto” (Salmi 95:8); “Beato l’uomo che è sempre timoroso! Ma chi indurisce il suo cuore cadrà nella sfortuna” (Proverbi 28:14); “Egli si ribellò pure a Nabucodonosor, che lo aveva fatto giurare nel nome di Dio; e irrigidì il collo e il suo cuore rifiutando di convertirsi al SIGNORE, Dio d’Israele”(2 Cronache 36:13)» |
Quando il cuore è stato rigenerato da Dio, dell’uomo convertito, si può dire: “Egli non temerà cattive notizie; il suo cuore è saldo, fiducioso nel SIGNORE” (Salmi 112:7). La caparra della definitiva salvezza viene depositata nel cuore umano: “Egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2 Corinzi 1:22).
CONCLUSIONE
Nostro Signore desidera che il suo Sacro Cuore sia adorato, per rinnovare nelle anime gli effetti della Redenzione (Sr. Margherita Maria Alacoque)
Un gesuita constata, parlando dell’uomo, che il “cuore”, purtroppo, «è stato ridotto a qualcosa di simbolico nel senso idealista, oppure ad un puro psicologismo sentimentalista» [20]. Ritorna la denuncia attinta da Max Scheler! L’individualismo sfrenato, l’edonismo che spinge a provare piaceri orientati a soddisfare il solipsismo, fanno sì che la vita si ottunda, si restringa ad un io minimo (Lasch); l’intelligenza del cuore – per Rupnik – invece, è principalmente «apertura anche alla dimensione personale, dunque, agapica» [21]. L’agape, forma d’amore tipicamente cristiana, stride fastidiosamente con le esortazioni oggi prevalenti ad essere, come dicevamo con Weber, dei gaudenti senza cuore. La scienza del cuore/ un sapere dell’anima (Zambrano) vengono sepolti da sempre più spesse coltri di indifferenza, poiché il mondo oggi deve essere amministrato dalla ragione strumentale, burocratizzata. Scrive Rupnik: «l’epoca moderna […], avendo bisogno di governare il mondo, di avere il controllo sulla società e sulla cultura, ha preferito operare con un’intelligenza limitata al suo aspetto di raziocinio, di razionalità strumentale, e sostituirla al cuore» [22]. Per il mondo in generale, per la fede e la teologia in particolare, tutto ciò segna una perdita gravissima; e, per il nostro autore, ci sono molte ed evidenti contraddizioni, episodi che «dimostrano come la Chiesa abbia percepito che la fede subirà conseguenze dalla perdita del cuore» [23]. È già una gran fortuna, però, aver consapevolezza dell’impoverimento che patisce la fede se si “perde il cuore”; ciò, dunque, incita a riprendere contatto con gli insegnamenti biblici, teologici, per mostrare che il dono del cuore (dono ricevuto e da restituire, condividere) è un compito urgente per l’oggi. Se fosse nostro contemporaneo (spiritualmente, però, lo è a pieno titolo), Sant’Agostino non avrebbe difficoltà a rivolgerci un invito che, molto tempo fa, depositò in uno dei suoi splendidi commenti alla Scrittura. Mi è sembrato, rileggendolo, di poterne ricavare il manifesto dell’impegno cristiano in favore del futuro. Ecco le parole profonde ed attuali del vescovo africano: «Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontano da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada, ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore […]. Altrimenti, come potrebbe l’Apostolo esortare ad avere gli occhi del cuore illuminati (cf. Efesini 1: 18)? Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l’immagine di Dio; nell’interiorità dell’uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato secondo l’immagine di Dio» [24].
[1] Scrivono: «viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi” […]: il XX secolo ha segnato la fine dell’ideale positivista gettando gli uomini nell’incertezza» (m. benasayag – g. schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 20 – 21).
[2] Il sociologo tedesco parlava dell’incerta evoluzione degli spiriti umani nell’epoca del capitalismo e li definiva specialisti senza intelligenza – gaudenti senza cuore: «questa nullità – concludeva – si immagina di esser salita ad un alto grado di umanità, non mai prima raggiunto» (m. weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in id., Sociologia delle religioni, UTET, Torino 1976, vol. I, pp. 322 sgg.).
[3] Cfr., j. g. frazer, Il ramo d’oro, Einaudi, Torino 1973, vol. I, p. 127.
[4] Cfr., m. zambrano, La metafora del cuore (Frammento), in id., Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 45.
[5] ibid., p. 46.
[6] ibid., p. 50.
[7] Cfr., m. heidegger, Nietzsche, Adelphi, Milano 2000, p. 62.
[8] m. scheler, Ordo amoris, Morcelliana, Brescia 2008, p. 52.
[9] ibid., p. 71.
[10] Cfr., b. pascal, Pensieri, opuscoli, lettere, Rusconi, Milano 1978, p. 420.
[11] ibid., p. 585.
[12] m. scheler, Ordo amoris, cit. p. 84.
[13] b. pascal, Pensieri, opuscoli, lettere, cit. p. 588.
[14] m. scheler, Ordo amoris, cit. p. 71.
[15] b. pascal, Pensieri, opuscoli, lettere, cit. p. 283. Ancora: «il cuore dell’uomo è grande, le piccole cose vanno e vengono nel suo capace interno; solo le grandi cose ci si fermano e vi dimorano» (p. 286). Ciò che di più grande può dimorare e rimanere in noi è Dio! Egli dona la Verità e la fa conoscere soprattutto col cuore: «quelli a cui Dio ha dato la religione per sentimento del cuore, sono ben fortunati e ben legittimamente persuasi. Ma a quelli che non l’hanno, noi non possiamo darla che per mezzo del ragionamento, nell’attesa che Dio gliela doni per sentimento del cuore, senza di che la fede è solamente umana e inutile per la salvezza» (pp. 585 – 588).
[16] Cfr., g. mandel, L’alfabeto ebraico. Stili, varianti, adattamenti calligrafici, Mondadori, Milano 2007, p. 53.
[17] La Bibbia è decisamente onesta nel presentare il cuore umano e come sintesi di tutte le meraviglie ed, allo stesso tempo, come, direbbe il romanziere Mauriac, un groviglio di vipere: «L’AT […] non è un manuale, ma un libro di vita. Racconta di persone concrete, della loro grettezza e grandezza […]. Accanto alla grandezza dell’uomo […] “fatto poco meno di un dio [CEI: degli angeli]” (Sal 8, 6), sta […] il “Ma io sono un verme” (Sal 22, 7). Il fatto che l’essere umano sia […] progettato proprio in questa tensione, rende […] il discorso dell’uomo nella prima parte della Sacra Scrittura cristiana capace di connessione con la modernità, nella quale l’uomo cerca di comprendere se stesso nel dissidio tra onnipotenza e impotenza» (c. frevel – o. wischmeyer, Che cos’è l’uomo. Prospettive dell’Antico e del Nuovo Testamento, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006, p. 8).
[18] Cfr., a. miranda, I sentimenti di Gesù. I verba affectum dei Vangeli nel loro contesto lessicale, Edizioni Dehoniane, Bologna 2006.
[19] ibid., pp. 7 – 8.
[20] Cfr., marko ivan rupnik, Dire l’uomo. Volume I: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2005, p. 144.
[21] ibid., p. 145.
[22] ibidem.
[23] ibidem.
[24] s. agostino, Commento a san Giovanni 18, 10: a cura di e. gandolfo – v. trulli, Città Nuova, Roma 1968, pp. 426 – 428.
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