Presentazione.

Presentare questo blog non è semplice per la varietà di argomenti che vi sono sviluppati. Nonostante, infatti, ci presentiamo come una riflessione filosofica, sono diverse discipline toccare.

Con questo lavoro desideriamo mettere a disposizione i nostri studi personali, le nostre “ricerche”. Abbiamo “cercato”, non ci siamo accontentati delle risposte precostituite perché : “Non si fanno esperienze senza porre domande” (Gadamer).

L’essere umano è da sempre che pone domande. La filosofia è da sempre che si occupa dell’uomo sia come soggetto,sia come oggetto occupandosi sia dell’essere umano, che di ciò che c’è universalmente dentro di lui. Non diamo quindi risposte,desideriamo invece “incuriosire” il lettore, affinchè ricerchi. Crediamo infatti: “Non si può insegnare nulla ad un uomo,ma si può solo aiutarlo a trovare la risposta dentro se stesso.” (Galileo)

mercoledì 17 novembre 2010

PREZZOLINI E LA RICERCA DI DIO

Sono stato invitato a presentare – anche se ‘a volo d’uccello’ – un ‘cercatore di Dio’ che il poeta Ungaretti avrebbe, senza esitazione, definito “ateo pensoso”! Mi sono ricordato, innanzitutto, di cosa Dostoevskij diceva dell’ateo: è un uomo che “si trova sul penultimo gradino della fede perfetta”. Un uomo, cioè, che ha compreso che Dio non lo puoi avere in tasca, né acquisire attraverso ‘esperimenti’, ma solo facendone l’‘esperienza’: non reiterando particolari ed immodificabili procedure vi si arriva, ma arrischiando la propria esistenza in un dialogo autentico.
 Una ricerca, quella della fede, che non conosce strade asfaltate, ma dirupi e deviazioni imprevedibili. L’architetto Gaudì, infatti, ipotizzava la presenza di Dio non nella “linea retta”, ma nella “curva”. L’autore che qui – con poche pennellate – propongo è Giuseppe Prezzolini; un letterato italiano che, per riprendere il titolo di un testo che raccoglie alcuni suoi scritti (e dal quale traggo quasi tutto il materiale qui rubricato), ha vissuto l’interra vita all’ombra di Dio. Diceva, a volte, di non sapere cosa farsene della fede ma, nella maggior parte dei casi, non aveva remore nel definirsi un ‘disperato’, un assetato di Trascendenza.
 È un autore che ci fa comprendere rapidamente che aveva ragione Camillo Cavour nello scrivere che, l’uomo ‘senza fede’, è simile ad “un fiore in un bicchiere d’acqua, senza radici e senza durata”. Visse all’ombra di Dio perché non smise di cercarLo e di sperare che il “Cercato” lo andasse a visitare; eppure, la tensione continua nella quale si mantiene lascia pensare che qualcosa di divino sia passato, anche furtivamente, nella sua anima. Disse Gregorio Nisseno: “Trovare Dio è cercarlo continuamente. Poiché il premio della ricerca è la ricerca stessa”.
Il merito di un “ateo pensoso” è quello di avere rifiutato un disincantato, ironico nichilismo; piuttosto, si è interrogato sinceramente addolorato per il fatto di dover constatare che la fede è una grazia, un misterioso dono. La disperata ammissione del nostro autore – la fede è grazia e nulla in comune ha con l’intelligenza – anche se non del tutto condivisibile (per noi ‘fede e ragione’ si sostengono reciprocamente) è un segnale forte: quasi Prezzolini invidia quanti sono stati visitati dalla grazia che reca in dono la fede! Se noi pensiamo di essere destinatari di un dono simile e comprendiamo quanto manchi a certe anime, diventiamo ancora più grati a Dio. Prezzolini, inoltre, ci aiuta a pensare quanto Cristo possa giovare anche ad un ateo. Egli, infatti, ha avuto parole commoventi per il Verbo incarnato: è Lui – per riprendere Pascal – che ci fa vedere lo splendore del Padre e, nello stesso tempo, la miseria della creatura. Questo ‘doppio sguardo’ ci evita e la superbia e lo scoraggiamento. Il nostro autore, forse, ammirava Cristo perché è l’unico motivo fondato che abbiamo per credere che Dio stesso è venuto a trovarci per farsi trovare. Diceva suor Elisabetta della Trinità che, “per ricondurci a casa, Dio stesso si è fatto nostro compagno di viaggio”. Un altro amore di Prezzolini, fu Agostino (che preferiva, non facendone mistero, a Tommaso d’Aquino); ebbene, proprio questo ‘eroe della fede cristiana’, chiudeva con queste parole il Libro X delle Confessioni: “Loderanno Dio soltanto coloro i quali avvertiranno la sua mancanza”. L’intellettuale italiano, come prepotentemente si evince da alcune sue pagine, anelava a Dio e, non di rado, confessava il forte dolore, rammarico di non avere fede: avvertire la mancanza di Dio come per tutta la vita è accaduto a Prezzolini – significa lodarlo perché non ci manca se non chi, in un modo o in un altro, amiamo davvero.  
È doveroso, prima di accendere l’interesse per l’intellettuale italiano, fornirne un’agile inquadratura biografica.  Giuseppe Prezzolini nasce a Perugia il 27 gennaio del 1882 e muore a Lugano il 14 luglio del 1982, dove si era trasferito nel 1968.  È stato giornalista, scrittore ed editore. «Nato per caso», come amava scherzosamente dire, a Perugia da genitori senesi, si trova, a causa del mestiere del padre Luigi (era Prefetto del Regno) a viaggiare molto. Persa la madre ancora bambino, Prezzolini cresce studiando nella fornita biblioteca del padre. Perso anche il padre in giovane età, inizia la sua attività di giornalista ed editore ad appena 21 anni. Nel 1903 fonda, insieme a Giovanni Papini, la rivista Leonardo, pubblicata fino al 1908. Nello stesso anno fonda La Voce, prestigiosa rivista che, durante il suo periodo di esistenza (verrà pubblicata fino al 1916), spazierà su temi legati alla “letteratura”, alla “politica” ed alla “società”, e avrà tra i suoi collaboratori numerose personalità di spicco dell’Italia del tempo. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale come capitano dell’Esercito Italiano. Si trasferisce negli Stati Uniti nel 1929 ed insegna alla Columbia University di New York. Dopo oltre 25 anni di permanenza negli Stati Uniti, torna in Italia e si stabilisce sulla costiera amalfitana. Continua la sua attività di scrittore, di articolista per Il Resto del Carlino, si trasferisce nel 1968 a Lugano dove muore, centenario, nel 1982.

Un peso notevole avrà avuto, di certo, l’essere rimasto, il piccolo Giuseppe, da solo col papà assai lontano da interessi religiosi. La mamma aveva lasciato questo mondo quando lui aveva appena tre anni!
Papà Luigi, ad ogni buon conto, tenne fede ad un patto stretto con la moglie morente: il figliolo avrebbe recitato, puntualmente, le preghiere. Prezzolini, educato in maniera tanto formale e piatta ai valori cristiani,  registrò, anno 1900, nel Diario (1900 al 1941), l’amaro, invincibile sconforto di aver fatto la Prima Comunione dopo lezioni di dottrina prese da un vecchio prete stupido in una fredda e disanimata stanza di sacristia. Del giorno in cui ricevette il “Corpo di Cristo” per la prima volta, non gli rimase impresso che lo scomodo inginocchiatoio. Dalle prime battute del mio intervento, si può già comprendere che, privati di credibili, suadenti “testimoni”, si apprende qualcosa del Cristianesimo che non si rivela, poi, sufficiente a nutrire una fede matura, gioiosa.
Il gelo della stanza nella quale il piccolo Giuseppe sente parlare di Dio, di Gesù è la traduzione esteriore di una freddezza del cuore non toccato da una testimonianza ‘calda’, ‘appassionata’ di fede cristiana autentica; ed il cuore – lo sa bene chi conosce i punti essenziali dell’antropologia cristiana – è un organo fortemente implicato nel percepire la bellezza ed il senso della proposta cristiana [1].
Nel 1969 esce un libro con un titolo che, da solo, fa testo: Dio è un rischio. L’ autore vi sostiene che “ragione” è quella che apprende i propri limiti: il ‘razionalista’, tanto quanto l’‘uomo di fede’, pure si espone a rischi poiché vive, per lo più, della “fede nella ragione”! Qualcuno ha scritto che, questa opera, contiene pagine degne di stare a fianco di quelle bibliche nelle quali Giobbe dibatte con Dio e, se lo può fare, evidentemente, lo si deve al fatto che “crede in Dio”. Chi contesterebbe con tanta passione qualcuno che si sa non esistere? Se ne conclude che, in fondo, Prezzolini sarebbe – dice il critico del quale mi sfugge il nome -  irreligioso per un’esigenza più fresca di religiosità.
È vero che, come disse uno scrittore cattolico francese del Novecento, non si giudica Dio dalla balbuzie dei Suoi servitori, ma la vita di questo italiano scomodo mostra quanta responsabilità hanno quelli che si professano credenti in Cristo. Il prete del catechismo, del quale si diceva poco sopra, non fu il solo a non aiutarlo a percorrere una fruttuosa strada di conversione; il nostro autore esprimeva, infatti, anche una immensa e dominante perplessità:
se quella che chiamava l’affermazione cristiana era tanto potente, valida, eroicamente significativa, come spiegarsi che quanti attorno a lui si dicevano cristiani, poi agissero come lui che si riconosceva, senza remore, miscredente?
Era pure certo che, quando l’Italia fosse stata davvero cristiana e cattolica, significativi e notevoli cambiamenti si sarebbero registrati. Chiediamocelo:
se Prezzolini avesse avuto intorno a sé testimoni di Cristo migliori, sarebbe stato lo stesso uomo? Una cosa è certa e viene sottolineata con forza anche dalla gerarchia ecclesiastica:

«ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri» [2].


La lezione di un poeta romantico, Hölderlin, si adatta bene alle vicende spirituali del nostro autore: Nah ist und schwer zu fassen der Gott (Prossimo e difficile ad afferrare è il Dio). Prezzolini fu, spesso, molto vicino a “farsi afferrare”, più che “ad afferrare” Dio”, ma – nelle cose della fede – non sono i tentativi reiterati a garantire buoni risultati. La fede, infatti, nulla ha in comune con l’esperimento, come accennavo nella mia breve introduzione, bensì è una esperienza. La differenza c’è ed è abissale:

«Un esperimento è ripetibile, perché decidiamo di ignorare le circostanze che lo rendono unico: data, nome dello sperimentatore, luogo […]. L’esperienza, invece, è sempre unica […] perché i casi si giustappongono, si sommano e formano l’“esperienza” di una persona che “ha” esperienza. La vita degli esseri umani […] è […] irripetibile» [3].

Un esperimento richiede, per avere successo, che si ripetano identiche procedure e poco importa se siamo in un laboratorio dipinto di rosso o di blu e se lo sperimentatore ha questo o quell’altro patrimonio spirituale…
La fede, invece, essendo l’esperienza propria di un essere umano “unico ed irripetibile”, passa attraverso il “vissuto” e di tale passaggio risente per poi tornare, influenzandolo talvolta radicalmente, sullo stesso ‘vissuto’. Fare con la ragione esperimenti teoretico – concettuali per arrivare a credere è sforzo vano[4]. L’intellettuale italiano questa idea l’aveva marchiata a fuoco nell’anima: sapeva di dover ridurre l’arsura del suo spirito abbeverandosi ad autori cristiani che, invece di costruire cattedrali concettuali di stile gotico, facevano parlare la parte più autentica di se stessi.
Confessò, infatti, che, in un periodo della sua vita cercò fortemente di credere e, per questo, attingeva a quel gigante del cristianesimo che è sant’Agostino. Era certo – questo cercatore disperato – che il santo Vescovo africano avrebbe potuto procurargli un’ispirazione non rintracciabile nelle opere di Tommaso d’Aquino del quale, tra l’altro, aveva ricevuto notizie leggendo Dante. Se recuperiamo un articolo uscito il 7 febbraio del 1980 su «Il Resto del Carlino», scopriamo che Prezzolini aveva simpatia per quei santi che hanno conosciuto bene – prima di darsi completamente a Dio – il “peccato”. Sulle pagine del «Leonardo», aprile – giugno 1906, scrive che non sono pochi i santi che possiamo definire eretici fortunati (gli eretici, per contro, sono i santi sfortunati).
Riprendiamo in mano il foglio stralciato da «Il Resto del Carlino». Agostino, torna decisamente su di lui in questo articolo, potrebbe essere definito romantico; Tommaso, piuttosto, va inquadrato come classico. Il primo è (cita Maritain) filosofo senza sistema; il secondo, all’opposto, è tutto sistema. Agostino svolge un “dialogo con Dio”; Tommaso, invece, «è l’opera di Dio disposta in ordine razionale». Devo dire, però, che sarebbe un grave errore pensare, riguardo a questi due antichi autori cristiani, da “manicheo”: non è detto che le loro diverse posizioni non si possano mettere in fecondo dialogo nel cuore di un soggetto alla ‘ricerca di Dio’.
Agostino è il cuore inquieto che cerca e Tommaso l’intelletto inquieto che vuole dimostrare? Ebbene, in chi fa i conti con la proposta cristiana, possono coesistere i due momenti: avere a cuore le ‘cose della fede’ implica, a mio avviso, una cura (non idolatria) della ragione.
A chi – come lo scrittore italiano – si dibatte polemicamente tra “cuore” e “ragione”, in più, suggerirei di meditare le parole di un teologo gesuita:

«Chi si batte per la fede, deve lottare allo stesso tempo anche per la ragione […]. Il buon samaritano, vedendo il bisogno del suo simile, non passa oltre, ma cerca di aiutare. Lo fa avendo la libertà e la disponibilità a farlo […]. Ma nessuna fede e nessuna rivelazione potrà mai insegnargli come si fascia in modo adeguato una gamba fratturata. Questo possono insegnarlo soltanto la ragione e l’esperienza» [5].


Prezzolini, nel 1905, si avvicina molto alla Chiesa: a Milano si sposa dopo essersi confessato; va regolarmente a messa, recita persino il Santo Rosario, eppure… amareggiato dice di attendere un segno da Dio. Cambia il vecchio pseudonimo: da Giuliano il Sofista, diviene Quodvultusdeus che, come sappiamo, era amico e discepolo del suo amato sant’Agostino. Assunto il nuovo pseudonimo, scrive pagine degne di attenzione nelle quali afferma che è Cristo ad agire ed a provocare conversioni – grazie, però, anche ai Suoi “santi” – e non vanno ascritti particolari meriti ad una chiara illustrazione della dottrina ecclesiastica. I dogmi, a suo dire, non sono altro che atti di vita cristallizzati. È unicamente la “realtà” del Cristo la forza vera del Cristianesimo! Fare l’esperienza di Cristo (che è – precisa – unica) non è cosa da poco o accessibile ad anime tiepide, pavide. La tragicità biblica – come amava esprimersi il nostro autore –, infatti, migra nel ‘mondo collettivo ed individuale’ dei Vangeli; non meno dell’autorevole Dio che incontriamo nell’Antico Testamento, come si evince da alcuni brani evangelici, Gesù ci mette di fronte a scelte radicali e per nulla aggirabili con scappatoie mistiche. Il Cristianesimo, perciò, è ‘cosa seria assai’ e non l’occasione – incalza polemicamente Prezzolini – per tenere conferenze, scrivere libri…
Il nostro autore, poi, operava una decisa distinzione tra Cristianesimo (religione interiore) e Cattolicesimo (religione esteriore). Il cristiano autentico, perciò, può e deve praticare, per lo più, la carità spirituale.  Un  esempio: un ricco dà dei soldi ad  un povero e trasmette a questi la perdizione che era sua. La carità materiale, per il nostro, non è cristiana. Sappiamo bene che, invece, fare qualcosa al più piccolo dei nostri fratelli (anche donare un pezzo di pane, una moneta) è come averlo fatto a Cristo! Si può donare del denaro e farlo in ossequio ad un principio di carità spirituale: si testimonia il cuore anche con il concreto donare.

Il Cattolicesimo, insiste però il nostro autore, falsa irrimediabilmente il Cristianesimo. Prezzolini, allora, lancia una provocazione: la Chiesa ha poco o niente a che vedere col Cristo povero, umile. Qui, però, il nostro autore, lascia una riflessione che ammorbidisce la sua denuncia. Il Cristianesimo trova in ciò che lo snatura una utile corazza.
Nella sua radicale purezza, infatti, il Cristianesimo sarebbe affare di un credente isolato; necessario è che, proprio in quanto avvertito della superiorità ideale di esso, si metta di mezzo l’organismo protettivo, il Cattolicesimo. Prezzolini pensava che fosse una sorta di ‘costante storica’ il fatto che, appena sorge una “religione interiore”, da questa origini, poi, una “religione esteriore” che è sì ostile alla prima, ma pure la protegge rendendola applicabile nella prassi.

Ci fu un periodo in cui, deluso dalla vana ricerca della fede cristiana, Prezzolini si rifugiò tra le braccia dell’idealismo.
Fu, in verità, significativa la conoscenza fatta, a Napoli, di Benedetto Croce: ne rimase intensamente colpito! Se i pagani avevano divinizzato la natura – argomentava il letterato – ora siamo nel tempo in cui è l’Uomo che esprime il ‘senso del divino’. Muore Dio ‘fuori di noi’, non è più incarnato in un uomo, bensì nell’Umanità. Col tempo, però, il nostro autore abbandona anche la filosofia idealista e precipita nella passiva accettazione del mondo per come si manifesta. Scrive il 13 marzo 1913, ne «La Voce»:

 «l’uomo […] vive senza la fede passata e senza una fede presente e spesso senza neppure la fede in una fede futura […]. La Chiesa si è sfasciata e sulla immensa rovina si costruisce a casaccio».

Una cosa, si accettino o si respingano le analisi del nostro autore, risulta evidente: non è indifferente avere o no una fede, che la Chiesa funzioni o si sfasci.
Un drammaturgo tedesco del Novecento, svolge una riflessione:
 «Un tale chiese al signor K se ci fosse un Dio. Il signor K rispose: “Ti consiglio di riflettere se il tuo comportamento verrebbe modificato a seconda della risposta a questo problema. Se non venisse modificato potremmo lasciar cadere anche il problema”» [6].
Dio, per riprendere una distinzione fatta sopra, non è materia di esperimento, ma esperienza: accade, si verifica nella vita irripetibile di un soggetto! Da New York, il 27 ottobre del 1929, Prezzolini definisce l’essere cristiano una esperienza che fa pensare all’entrata di un ladro in noi che ci sottrae a noi stessi; si vien colpiti come da una malattia, scrive; per cui, chiede non senza una punta di sconforto: che c’entra l’intelligenza? Devastava la sua vita il non avere la fede… non era unicamente una questione intellettuale quella di stabilire il valore e la necessità del credere.
Claudio Quarantotto, nel gennaio del 1982, intervistò l’intellettuale italiano il quale dichiarò che, sebbene l’abbia a lungo combattuta, mai aveva sottovalutato la religione, ritenendola, anzi, assai ‘utile’ per il singolo e per la comunità.
La fede – aggiungeva – è il più grande dei doni che si possa ricevere in vita, ma lo possiamo solo ricevere dal Caso «che molti chiamano grazia». Ecco: a lui suonava più sensata la parola “Caso” che non il termine teologico “Grazia”. Io, confessa, per un certo tempo «ho atteso; poi, non ho atteso più» [7]. Il suo non era un ateismo allegro, ridanciano, ma davvero sofferto; nulla a che vedere, insomma, con certo nichilismo leggiadro imperante nelle pagine dei disincantati negatori di Dio postmoderni. La sua – lo documenteremo tra poco – era ‘vera disperazione’ perché, ne sono certo, senza Dio l’uomo non è lo stesso che sarebbe se si relazionasse a Lui [8].
                                                                                                                                      
Un caso (o, per chi crede, una mano tesa da Dio) l’incontro che, nel 1925, si ebbe a Roma, nella Biblioteca Nazionale, tra Prezzolini ed un giovane sacerdote (che aveva già letto qualche opera del letterato), don Giuseppe De Luca? A prescindere dalla risposta che preferite, di certo, da quel momento si materializzarono quarant’anni di amicizia vera!
Il letterato confessò all’amico sacerdote che, proprio perché trovava poco cattolico il Cattolicesimo, non riusciva ad essere Cattolico! L’umanità, a suo dire, contiene anche i miscredenti… quelli che con acredine o con indifferenza vengono estromessi dalla Chiesa! Da Parigi, il 12 dicembre del 1926, proprio al sacerdote, chiederà:

«Come fate a dirvi cattolici, se espellete nove decimi dell’umanità […]?».

De Luca – a dire del contestatore – era il prete di una religione intollerante e lui, miscredente, il chierico di una religione tollerantissima.
Prezzolini fu un uomo che conobbe l’esilio, patì la morte del figlio, l’Italia in grave crisi lo preoccupava, la guerra incombente… gli sembrò di vedere tutto cadere in rovina, come se – scriveva – si trattasse di avere di fronte un carro guidato da ciechi. A De Luca scrisse anche:

«Io sono assolutamente un disperato. Non posso nemmeno descriverle l’orizzonte di deserto che mi circonda» [9].

Altrove, con analogo scoramento:

«Mi pare che il mondo stia per esplodere: tutto cresce, popolazioni, profitti, redditi, produzione e tensione: non se ne esce che con uno scoppio, una distruzione formidabile» [10].

Difficile che, in questo maremoto storico e personale, la Chiesa possa apparire come un porto sicuro. Chi non riesce a vedere la luce della fede attraverso tante tenebre viene lasciato solo!
Essere cattolico e tenere fuori parte dell’umanità non è – qui Prezzolini ha ragione – anticattolico, non universale? Chi non crede deve, all’opposto, costituire una preoccupazione amorevole per la Chiesa. Mettiamo in risalto parole come accoglienza – confronto «evitando sia la tentazione dell’inclusione – di ragionare cioè come se tutti fossero “inclusi” nella Chiesa – sia quella dell’esclusione, come se gli altri non avessero nulla a che fare né niente da dire alla chiesa» [11].
La Chiesa, possiamo dire, deve essere un po’ come la “fontana del villaggio”: dare a tutti la propria acqua, ma senza imporre la sete a nessuno

Don De Luca fu il prete amico, ripetiamolo, per quarant’anni! Un dialogo che ha di certo alleggerito, di tanto in tanto, il cuore pesante del nostro “ateo pensoso”. Prezzolini, però, conobbe un altro personaggio della Chiesa di enorme spessore: Paolo VI che era, al tempo dei primi contatti, Arcivescovo di Milano. Lo scrittore mancava dall’Italia, era in esilio, da sedici anni. Il prelato aveva fatto di tutto affinché l’esiliato comunicasse con moglie e figlio. Montini, d’altro canto, come il sacerdote De Luca, frequentava gli scritti dell’intellettuale italiano. Nell’agosto del 1974, su «Il Resto del Carlino», Prezzolini dovette rispondere ad un appello di Paolo VI; in realtà, si trattava, per lo più, di un augurio: gli si augurava, come era accaduto a Giovanni Papini, di convertirsi [12].
Prezzolini parte da lontano ed afferma che la Chiesa Cattolica, se non si immette in beghe politiche, rimane la più straordinaria e meravigliosa organizzazione della storia del mondo occidentale. Il compito che solo lei può svolgere e con successo consiste nello scegliere e preparare uomini buoni. Precisa, poi, che non può essere il “desiderio della felicità” a condurre alla fede perché, se essa si acquistasse solo per stare bene, non sarebbe dissimile da un finto gioiello.
La fede, così pensiamo, deve scendere giù fino alle radici del nostro essere perché, nel credere o non credere in Dio, ne va della vita; se la fede è un rischio e l’incredulità un serio problema teologico è perché Dio non può essere indifferente all’uomo come questi non è indifferente a Dio [13].
La conversione, poi, è personale e non può paragonarsi ai prodotti industriali che vengono alla luce in serie (uguali, indistinti).
Se Dio fosse il prodotto della nostra ragione potremmo anche, con procedimento razionale, convertirci; qui vale l’evento, la grazia; tuttavia, ci sentiamo di opporre a Prezzolini, ed a quanti ne condividono la tesi, al soggetto compete il tenere aperta la possibilità di ricevere la “visita di Dio”.
L’uomo, per quanto è nelle sue possibilità, non può non impegnarsi solo perché, ciò che vuole, l’ha chiesto a Dio. Mi atterrei, affrontando questa spinosa questione, all’insegnamento di san Tommaso Moro, Gran Cancelliere del re Enrico VIII di Inghilterra. A causa di falsa deposizioni, il santo Cancelliere venne condannato a morte!
Pregò per i suoi giudici e, in una frase dell’orazione, affermava:
Donami la grazia, o buon Signore, di impegnarmi per le cose che ti chiedo.
L’uomo deve impegnarsi per le cose che chiede a Dio. Prezzolini, onestamente, lo ha fatto. Prendeva tanto sul serio il tema “conversione” che – scrisse sempre nella risposta a Paolo VI – si fosse verificata, l’avrebbe nascosta per evitare che qualcuno pensasse ad una trovata pubblicitaria. Il letterato aveva ragione, in parte: non si arriva alla fede per un semplice desiderio di felicità, né vi si può arrivare seguendo pedissequamente il percorso di un altro. Dio non è un esperimento, ma una esperienza: riguarda un nome, un luogo, un tempo ben precisi; non è materia inerte che, in qualsiasi luogo, chiunque la manipoli produce un fenomeno già sperimentato. Dio sorprende “ogni vita” in “modo nuovo”!
Prezzolini amava Agostino più di Tommaso proprio perché il primo, evidenza non facilmente contestabile, sembrava molto più essere “stato sorpreso” dal Signore e più preoccupato del secondo a parlarne evitando le complesse architetture della filosofia sistematica. La teologia è sì un dare ragione della speranza cristiana, ma è pure narrazione, testimonianza di vita… Se manca questa seconda parte del discorso teologico (parte non accessoria, ma strutturale), si cade in quella che qualcuno ha definito l’idolatria dei concetti razionali [14].


Da Vietri sul Mare (Salerno), il novembre del 1964, Prezzolini invia una lettera al Direttore dell’Osservatorio della Domenica nella quale tiene subito a precisare che, sebbene non vi appartenga, prova un rispetto enorme per la Chiesa che ha, aggiunge, due vite che si sostengono reciprocamente: quella “cristiana” e quella “cattolica”; la prima, fonda sul Vangelo che non veicola indicazioni riguardanti il politico, il sociale; la seconda, si innesta nelle problematiche mondane. La “prima vita” ha l’obiettivo di convertire l’uomo in nuovo Adamo ed è interiore. Il letterato italiano teme che la Chiesa – eleggendo la seconda vita (politica) – si schieri coi vincitori.
La Chiesa, inoltre, se si colloca sull’asse politico, sociale, rischia di farsi surclassare da chi offre di più e sa fare meglio negli ambiti squisitamente mondani. L’unico spazio che appartiene alla Chiesa e che si può gestire in piena libertà, autonomia è quello dell’inquieto cuore umano (anche in questo caso, sotto la voce di Prezzolini, si ode quella di Agostino). Il nostro autore non vedeva di buon occhio che la Chiesa si razionalizzi e guardi con eccessiva simpatia alla forza ed alle possibilità della ragione. Un ritorno a Pelagio sarebbe devastante!
La sopravvivenza della Chiesa, piuttosto, viene garantita dal mettere al riparo i suoi misteri venerabili anche se irrazionali e dal dedicarsi alla ‘vita interiore’ degli uomini. In altra occasione, nel marzo del 1966, Prezzolini aggiunse che, forse, la Chiesa «sarà salvata da preti ignoranti ma pieni di fede, da santi che obbediscono senza discutere, da uomini buoni che fanno la carità senza pubblicare opuscoli».

È vero che non sempre si può essere d’accordo con un autore vulcanico come quello che abbiamo di fronte. La sua ultima provocazione, però, mi pare degna di venir ripensata! La Chiesa ha troppi professori in teologia e pochi uomini di fede? Potrebbe essere buona la strada che tiene in minor considerazione il sapere ed in maggior conto la forza di una fede schietta, non ammobiliata di nozioni scientificamente inattaccabili? Sarebbe meglio, è la mia proposta, istituire un sano, santo equilibrio tra conoscenza e fede; la santità è solo obbedienza o non è anche una forza che spinge a mettere in discussione quanto, in coscienza, non ci convince?
Davvero pubblicare opuscoli (qui mi sento interpellato in prima persona) corrisponde necessariamente a mancanza di carità? Non è carità anche donare quello che si sa? Una lezione feconda possiamo trarre dalle posizioni di Prezzolini, ed è questa: laddove inaugurava due estremi, operiamo una sintesi.
Un brano del nostro autore dà l’occasione di spegnere il fascio di luce repentinamente acceso su di lui e lascia formare una idea – guida per i cristiani in tempo di crisi:

«Ora, nuovi tempi sono venuti. Non ci soddisfano più le […] prove dell’esistenza di Dio – non ci basta più che la Chiesa Cattolica sia bella come un palazzo di feste e la sua messa ci piaccia come un dramma musicato – non ci contenta la semplicità di stile di qualche Fioretto – non ci attrae più la promessa di vita solitaria del Chiostro. L’apologetica moderna non può rivolgersi che a due sorta di uomini: o agi uomini pratici, maneggiatori di uomini, ed allora deve rivolgersi specialmente allo studio della religione come legame sociale, e formare quello che si potrebbe dire il pragmatismo cattolico […]; o agli uomini del sentimento, che cercano di migliorare se stessi, e vogliono, sfrenatamente vogliono gettarsi  e possedere il divino, ed allora non può essere che azione intima per farsi degni di Dio mediante l’imitazione del Cristo» [15].

Siamo di nuovo nell’aut – aut mentre, quello che di più prezioso possiamo prendere da questo pensiero conclusivo impone di ossequiare il modus ragionandi dell’et – et. Oggi occorre lavorare affinché i soggetti non siano scissi: o uomini pratici o uomini del sentimento. La fede cristiana, per attecchire fruttuosamente, ha bisogno che prassi e sentimento si tengano per mano. La studio della religione non può fissarsi unicamente né sulla capacità che essa ha di costituire e garantire il legame sociale, né ritirarsi nel privato dell’ego divenendo energia interiore grazie alla quale “imitare Cristo” non si converte mai in un imitarlo nella maniera migliore: passando in mezzo agli altri facendo del bene.
Se riusciamo a prendere gli aut – aut di Prezzolini disseminati tra le poche pagine che avete tra le mani ed a formare degli et – et comprenderemo l’utilità di aver toccato brevemente la storia di un letterato centenario italiano che visse, anelando alla luce, perennemente all’ombra di Dio – come recita il titolo del libro dal quale ho saccheggiato per stendere il mio lacunoso, ma appassionato, articolo.  

Opere di Giuseppe Prezzolini
Dopo Caporetto. Roma, La Voce, 1919.
Vittorio Veneto. Roma, La Voce. 1920.
Benito Mussolini. Roma, Formiggini, 1924.
Mi pare.... Fiume, Edizioni Delta. 1925.
Giovanni Amendola. Roma, Formiggini, 1925.
La cultura italiana. II edizione. Milano, Edizioni Corbaccio, 1930.
Manifesto dei conservatori. Milano, Rusconi, 1972.
La Voce, 1908-1913. Milano, Rusconi, 1974.
Carteggio. 1: 1907-1918 Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici. A cura di Mario Richter. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977.
Carteggio. 2: 1920-1964 Giuseppe Prezzolini, Ardengo Soffici. A cura di Mario Richter e Maria Emanuela Raffi. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1982.
Diario, 1900-1941. Milano, Rusconi, 1978.
Diario, 1942-1968. Milano, Rusconi, 1980.
L’ombra di Dio, Milano, Rusconi, 1984
Diario, 1968-1982. Milano, Rusconi, 1999.
L'Italia finisce, ecco quel che resta. Milano, Rusconi, 1994.
Vita di Niccolò Machiavelli fiorentino. Milano, Rusconi, 1994.
L'italiano inutile. Milano, Rusconi, 1994.
Intervista sulla Destra. Milano, Mondadori, 1994.
Codice della vita italiana, Robin, 2003.
Addio a Papini. Con Ardengo Soffici, a cura di M. Attucci e L. Corsetti. Poggio a Caiano - Prato, Associazione Culturale Ardengo Soffici - Pentalinea, 2006.
Studi su Giuseppe Prezzolini
Benvenuto, Beppe. Giuseppe Prezzolini. Palermo, Sellerio, 2003.
Betocchi, Silvia (a cura di). Giuseppe Prezzolini: gli anni americani, 1929-1962. Firenze, Gabinetto G. P. Vieusseux, 1994.
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[1] «Per vedere Dio – scrive un filosofo e semiologo americano –, basta aprire […] il cuore, che è anch’esso un organo capace di percezione» (ch. s. peirce, Philosophical Writings, New York 1955, p. 377). Stilando un commento a san Paolo (Rm 1, 19 – 21), un filosofo e teologo del Novecento, ha sostenuto che le «radici dell’occhio sono nel cuore […]. In ultimo l’occhio vede dal cuore» (r. guardini, Scritti filosofici II, Milano 1964, p. 152). 
[2] Cfr., catechismo della chiesa cattolica. Testo integrale e commento, Casale Monferrato 1993, p. 166. 
[3] Cfr., r. brague, Il Dio dei Cristiani. L’unico Dio?, Milano 2009, pp. 28 – 29.
[4] È un punto fermo di alcuni pensatori antichi individuare vie “altre” da quelle ‘razionali’ per “incontrare Dio”: Amantibus […] Deus se ipsum retribuit potius quam scrutantibus - «Dio si dona a coloro che lo amano preferendoli a quanti lo indagano» (m. ficino, Teologia platonica, Bologna 1965, XIV, p. 10). D’altro canto, ragione o cuore (meglio tenerli in relazione), sarebbe un grave errore pensare di poter, in discorsi simili, eleggere rigidamente una esclusiva posizione. Un pagano del IV secolo, che si contrappose a Sant’Ambrogio nella celebre questione dell’“Ara della Vittoria”, sostenne  che uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum - «Non una sola via può bastare per arrivare a un così grande mistero» (simmaco, Relatio IIIa, 10).
[5] Cfr., p. knauer, Per comprendere la nostra fede, Roma 2006, p. 201.
[6] b. brecht, Gesammelte Werke, vol. XII, Frankfurt 1967, p. 380.
[7] c. quarantotto, A colloquio con lo scrittore: un vecchio in gabbia, in «Prospettive Libri», Roma gennaio 1982.
[8] «È Dio il ‘fine ultimo’ della sua creatura. Egli è il cielo per chi lo guadagna, l’inferno per chi lo perde, il giudizio per chi è esaminato da Lui, il purgatorio per chi è purificato da Lui» (h. urs von balthasar, I novissimi nella teologia contemporanea, Brescia 1967, p. 44).
[9] Carteggio De Luca – Prezzolini, Roma 1975, p. 25.
Il male è che al nostro autore mancò la fede in Dio e, quindi, non riusciva che a vedere la realtà per come si dava ai suoi occhi. Il fenomeno del male non era arginato dalla fede nel Fondamento del Bene. La risposta o è Dio o ci si perde in miriadi di ipotesi disperate riguardo alle sorti del mondo, della Storia. In un romanzo inglese, infatti, un personaggio, dice: I know now, Lord, why you utter no ansie: you are yourself the answer - Ora so, Signore, perché non dai risposte: sei tu la risposta: c. s. lewis, A viso scoperto, Milano 1997. 
[10] g. prezzolini, Diario 1942 – 1968, Milano 1981, p. 269.
[11] Cfr., e. bianchi, Dharma e Vangelo due progetti di salvezza a confronto, Assisi 1996, p. 108; l. boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano 2006. Nessuno “ha” né “è” la Verità… il cristiano è l’uomo che la va a cercare assieme agli altri; per cui, disse un compianto Vescovo italiano, la «nostra fede deve avere la sensibilità del nomadismo. Dobbiamo essere […] gli uomini del cammina - cammina» (a. bello, Senza misura, Molfetta 1993, p. 20). La fede è una e non è detto che chi sa dirne di più ne abbia di più: «Poiché la fede è una e medesima, nessuno, sapendo dirne molto ne ha di più, e nessuno ne ha di meno se sa dirne poco» (ireneo di lione, Contro le eresie, I, 10, 2; PG 7, 553A).
[12] Le parole del Pontefice erano queste: «Il pragmatismo è un sistema che prescinde dalla verità oggettiva, razionalmente conquistata e pone nella volontà di una esperienza il punto focale della psicologia umana. A noi cristiani ciò non può bastare. Il cristianesimo non può prescindere dall’esercizio della intelligenza e del pensiero, e dal mettere la sua mente a disposizione della dottrina di Dio. È una concezione della vita che ha avuto i suoi pensatori rinomati anche nel campo religioso, e che in Italia ha avuto un suo grande esponente e poi suo critico vincitore, Giovanni Papini, come tutti ricordano. Aspettiamo sempre Giuseppe Prezzolini».
[13] Cfr., e. bianchi, La fede è un rischio, in «MicroMega. Almanacco di Filosofia» 2 (2000), pp. 75 – 84; j. b. metz, L’incredulità come problema teologico, in «Concilium» 1 (1965), pp. 72 – 92. Cristo mette in gioco la Verità con la quale sta o cade la nostra vita autentica: «nella storia di Gesù Cristo è in gioco la verità e la sorte della vita stessa. Se non fosse così, l’annuncio cristiano di fede toccherebbe gli uomini soltanto dal di fuori […] rifiuterebbero la vocazione alla fede come pretesa eteronoma» (w. pannenberg, Gesù Cristo nella storia e nella fede, Assisi 1980, p. 123). Chi riceve una immagine distorta di Dio, poi, diventa ateo per disamore verso una falsità e l’incredulità è un problema teologico – come dice Metz – soprattutto perché sono quelli che annunciano la Parola ad esserne responsabili: «Moltissimi che si ritengono atei in realtà semplicemente rifiutano […] idee erronee» riguardo al Trascendente! (p. knauer, Per comprendere la nostra fede, cit. p. 18).
[14] «L’idolatria dei concetti razionali […] è il pericolo di riconoscere come Dio […] il prodotto del nostro stesso intelletto. “Sciagurato colui che ha ridotto la teologia a una tecnica”, scriveva Gregorio il Teologo di fronte agli ariani» (t. spidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente Cristiano, Roma 2002, p. 302).
[15] Cfr., g. prezzolini, L’ombra di Dio, Milano 1984, p. 48. 

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