Presentazione.

Presentare questo blog non è semplice per la varietà di argomenti che vi sono sviluppati. Nonostante, infatti, ci presentiamo come una riflessione filosofica, sono diverse discipline toccare.

Con questo lavoro desideriamo mettere a disposizione i nostri studi personali, le nostre “ricerche”. Abbiamo “cercato”, non ci siamo accontentati delle risposte precostituite perché : “Non si fanno esperienze senza porre domande” (Gadamer).

L’essere umano è da sempre che pone domande. La filosofia è da sempre che si occupa dell’uomo sia come soggetto,sia come oggetto occupandosi sia dell’essere umano, che di ciò che c’è universalmente dentro di lui. Non diamo quindi risposte,desideriamo invece “incuriosire” il lettore, affinchè ricerchi. Crediamo infatti: “Non si può insegnare nulla ad un uomo,ma si può solo aiutarlo a trovare la risposta dentro se stesso.” (Galileo)

mercoledì 17 novembre 2010

Venti esercizi Cristiani

Cristo ci ha mostrato la via; a noi decidere di percorrerla
Sant’Agostino, Sermoni.

In ogni cosa dobbiamo chiederci che cosa farebbe, penserebbe, direbbe Gesù al nostro posto, e fare lo stesso
Charles de Foucauld.


Mi è venuto in mente, all’improvviso, il tempo in cui iniziavo a studiare pianoforte. Dopo un anno di tecnica di base, finalmente, la mia insegnante mi affidò delle sonatine brevi, dei pezzi facili: sforzi piacevoli perché divenivano – con opportuni esercizi – melodie alquanto interessanti. Il ricordo mi ha suggerito di fare lo stesso con le idee fisse che mi danno a pensare da anni in campo teologico: perché non provare a svolgere degli esercizi per accrescere la nostra maturità cristiana? Ne è venuto fuori un esiguo (risibile?) numero di pagine, ma ho pensato di offrire uno scrigno privo di orpelli e poche perle che hanno, spero, la forza di accendere in chi le accoglie ulteriori interrogazioni. Se posso, prima di dare luogo al breve percorso, aggiungere un consiglio, direi: qualsiasi meditazione inerente alla vita cristiana deve accadere avendo a fianco – immancabilmente – il Vangelo. Ci istruisca la massima di un teologo contemporaneo, Hans Urs von Balthasar:

«Si ha sempre l’impressione di trovare nel Vangelo una parola che ci riguarda direttamente, che risponde a una domanda o a un dubbio».

Primo esercizio.
Jean Daniélou sosteneva: se la città è orfana dell’adorazione, se la si edifica fuori di Dio, essa non sarà soltanto areligiosa, ma anche inumana. Non si può negare che la rinuncia ad esercitare il cristianesimo abbia reso inumani i luoghi del nostro vivere e, non a caso, un antropologo come Marc Augé ha esplicitamente parlato di non – luoghi. L’esercizio del cristianesimo – pur non potendo ridursi a questo – ha, senza alcun dubbio, una forza umanizzante.
La prima esercitazione consiste, a mio avvisio, nell’accettare (che non equivale a ‘subire passivamente’) le difficoltà e le minacce che vengono ininterrottamente da ambienti largamente scristianizzati. L’assioma che deve guidarci in questa progressiva comprensione delle difficoltà ad essere cristiani nel nostro tempo, deriva da Sant’Agostino:

“Chi non geme quando è viandante non si rallegrerà quando sarà cittadino”

Chi sa essere ‘coraggiosamente’ viandante nel tempo (nella Città dell’Uomo), meriterà di essere cittadino nella Gerusalem me Celeste. Da qui discende un corollario fondamentale per vivere in maniera fecondamente dialettica il nostro essere nel, ma non del mondo! La salvezza, in parte, nel tempo, nel mondo è già, ma non ancora perché la cronologia vissuta in maniera autenticamente, pienamente cristiana è anticamera e preparazione adeguata dell’escatologia.
Scriveva il poeta Paul Claudel:

“La nostra resurrezione non è tutta nel futuro, è anche in noi, ecco, sta per cominciare, è già iniziata”.




Secondo esercizio.
Non credo si possa dire, con fondate ragioni ed argomentazioni, che l’idea di Dio sia stata completamente cancellata in noi; ad ogni modo, nemmeno onesto sarebbe non ammettere che soffriamo, quanto meno, un’amnesia del Trascendente.
Bisogna, perciò, esercitarsi a portare Dio al centro del nostro pensiero perché, solo dopo averveLo ricollocato, si può pensare, fiduciosamente, di lasciarlo entrare nel mondo.
Si deve andare a lezione dai Padri della Chiesa. Sant’ Ambrogio enunciava una verità che deve tornare a marchiare a fuoco la nostra interiorità:

“Se mi è stata data la memoria, Signore, è per ricordarmi del tuo nome”.

Dobbiamo esercitarci a ri – cristianizzare la nostra memoria! Accanto ad essa, però, meritano attenzioni altre facoltà e, perciò, seguiamo lo schema ricavato da una massima di Luigi de Blois:

esercitiamoci a pensare che
la memoria ci è stata data per ricordarci di Dio;
l’intelligenza per poterLo conoscere;
la volontà è dono per scegliere Dio, amarlo e goderne.

Terzo esercizio
In questi primi due esercizi ma, più in generale, nella conduzione stessa della vita cristiana, occorre farsi guidare dalla Scrittura.
Molto ho scritto in altri opuscoli sul tema ma, in questo caso, dovendo assolutamente privilegiare la ‘brevità’, mi limito ad invitarvi ad un esercizio di profonda riflessione su di una acuta affermazione di Sant’Ambrogio.
Nei Sermoni, esortava:
“Se bussi alla porta della Scrittura, il Verbo di Dio ti aprirà”.

Una esercitazione paziente, appassionata sulla Parola che è La Porta dietro la quale possiamo sperare di incontrare il Verbo. Come accostarsi – volendo fornire uno schematico eppur efficace percorso – alla Scrittura?
Indicazioni da sviluppare, attraverso lieti esercizi di lettura e di attualizzazione della Parola, vengono da Daniel – Ange:
la Parola, dunque,

va gustata nel silenzio;
approfondita nello studio;
assimilata per mezzo della preghiera;
la si celebra nella liturgia;
la si rende viva (operante) nella vita fraterna;
È nella missione che viene annunciata.

Nel primo momento, si privilegia l’interiorità; tuttavia, per non scadere in uno sterile solipsismo, per non fruire in maniera disordinata della Parola, in un secondo momento, la si approfondisce con lo studio. Siamo, però, ancora a livello di relazione estrinseca; affinché la Scrittura entri a vivere ed a viverci (perché ci legga nel mentre la leggiamo), occorre pregare.
Il ritmo del nostro respiro, la risonanza interiore di ogni parola ci rende – oserei dire – consustanziali alla Parola! Per non isterilire tutto il lavoro fin qui fatto in una fruizione egoistica, solipsistica di quanto ci ha parlato, dobbiamo dotare la Parola di un amplissimo respiro comunitario e, dunque, ecco l’importanza della liturgia! In più, a questo livello, scopriamo anche la Bellezza della Scrittura. La piena, la più felice e fruttuosa declinazione della Parola a livello comunitario, però, è nella vita fraterna che essa stessa ispira e comanda.
Quarto esercizio.
Chi prende sul serio la vita cristiana e ne fa un esercizio ininterrotto, sa bene che non ci sono momenti in cui si possa dire: ecco, sono appagato!
Clemente Alessandrino, a tal proposito, ammoniva:

“Dobbiamo continuamente educare noi stessi, siamo dei bambini, dei bambini molto piccoli”.

Diventare uomini pienamente, allora, significa seguire il solo Maestro che possa aiutarci: Cristo.
La nostra imperfezione non ci fa disperare soltanto se si traduce nella consapevolezza di doverci porre alla sequela del Maestro. Il credente vuole arrivare a Dio ma, fidassimo unicamente nei nostri sforzi, finiremmo con l’essere, al più, uomini religiosi, non di fede. Il Dio trovato per mezzo delle filosofia, della ricerca interiore è sempre, più o meno, una nostra creatura; il Dio ebraico – cristiano, invece, è proprio Colui che non smette di rovesciare, capovolgere (a nostro beneficio ed insegnamento), le immagini divine che siamo capaci di allestire. Propongo, a questo punto, di esercitarsi a scrivere le impressioni che si accendono in voi leggendo questo acuto ed istruttivo ragionamento che Agostino deposita nelle Sue riflessioni sui Salmi:

“Dio si è fatto uomo affinché noi, camminando dietro a un uomo, cosa che possiamo fare, arrivassimo fino a Dio, cosa che non possiamo fare. Rivestendosi di umanità, il Verbo ci offre una scorciatoia per partecipare alla sua divinità”.

Quinto esercizio.
Stiamo proponendo dei micro – itinerari che mettono in gioco la nostra libertà; sì, perché questi esercizi possono valere solo se proposti e giammai imposti. Prima, però, consideriamo che la libertà che il cristiano si ‘esercita’ a vivere, non è la messa a frutto – inquinata da superbia antropologica – di indicazioni che provengono dai cultori esaltati del self – made – man. La stessa libertà, per il cristiano, è un dono di Dio. Diceva Léon Bloy:

“questa ineffabile libertà altro non è che questo: il rispetto che Dio ha per noi”.

Esercitiamoci a sentirci liberi perché Dio ci rispetta e scopriremo che non è facile, a questo punto, scadere nella libertà liberticida. Aderire al cristianesimo deve essere una scelta totale e, soprattutto, priva di costrizioni; che valore ha – anche negli amori umani troppo umani – l’accettazione dell’altro dovuta a necessità?
Inviterei a svolgere – prendendo molto tempo – una riflessione su quanto scrive un teologo ortodosso perché è un buon attrezzo col quale sviluppare, con accorte esercitazioni, il muscolo della nostra voglia di libertà. Diceva, dunque, Paul Evdokimov:

“Proprio perché l’uomo può dire ‘no’, il suo ‘sì’ acquista pieno valore”.

Sesto esercizio.
Rapportarsi a Dio impone, a mio avviso, di esercitarsi ad accettarne l’alterità senza disperazione. Non è cosa facile. Si pensi a quanti autori del Novecento (Nietzsche, Sartre, Gide…) hanno detto che se esiste un Dio, la loro libertà è minacciata; se l’uomo si sente un Dio, finisce sempre con l’essere un ‘povero Dio’! La somiglianza con Dio è ricca di occasioni proprio perché è soltanto somiglianza. Due divinità come possono comunicare?
Due persone (semmai fosse possibile) perfettamente uguali, cosa potrebbero scambiarsi?
Esercitiamoci a pensare all’alterità di Dio come ad un dato positivo e non nei termini di una differenza che ci schiaccia, che volge tutto a nostro sfavore. Una guida per questo esercizio interiore di comprensione non malata, depressa, dell’alterità divina, è la profonda affermazione di Paul Géraldy:

“Bisogna somigliarsi un poco per capirsi, ma essere diversi per amarsi”.

La somiglianza tra Creatore e creatura è necessaria perché, senza una striscia di terra in comune (lingua, pensiero, affettività…), nessuna comunicazioine avverrebbe; la diversità causa il desideiro di incontrarsi perché ognuno porta qualcosa di prezioso e personale nella relazione.

Settimo esercizio.
Un pericolo, a questo punto, va assolutamente segnalato per consentire a chi accetta di svolgere il percorso che sto allestendo, di non incapparvi senza nemmeno accorgersene: esercitarsi a pensare alcuni criteri del vivere cristiano non è sottrarre tempo alla prassi. Due gli errori che l’uomo, desideroso di vivere bene la propria fede, deve evitare: 1) assolutizzazione del momento spirituale (contemplativo); 2) assolutizzazione della prassi (iperattivismo).
Un teologo ricordava che Marta e Maria, alla fine, erano sorelle: diverse, eppure accomunate da tante caratteristiche. Se l’una ha potuto contemplare, alla fine, è perché l’altra lavorava. La nostra vita deve incarnare entrambe le due figure femminili evangeliche: c’è un tempo per lavorare (esercitare la carità) ed un tempo per pregare, pensare, meditare. In fondo, anche la contemplazione figura come una contempl – azione! Chi non fa che camminare non va troppo lontano, in verità, se non pensa a dove sta andando. Per esercitarci a trovare un equilibrio, così, propongo di riflettere su quanto saggiamente affermava Sertillanges:

“Non aver tempo per meditare significa non aver tempo per guardare il proprio cammino, troppo intenti alla marcia”.

La vita cristiana è un cammino, non un andarsene in giro; è un percorso che ha un telos!

Ottavo esercizio.
Nessuno può dirsi cristiano ed aggiungere, subito dopo, di esserlo pienamente e senza cadute. Si tratta, in realtà, di evitare i sensi di colpa; di non giudicare come un fallimento irrecuperabile il mancare verso Dio. Occorrono molti esercizi, guidati anche da alcune conoscenze di psicologia, per evitare di tornare avvelenati dai sensi di colpa a se stessi; cosa che, diciamolo, impedisce l’apertura di nuovi cammini verso il Padre. Vi invito a fare di quanto diceva Teresa d’Avila la vostra convinzione; esercitatevi a rendere un programma di vita spirituale quanto la santa, con profondo intuito teologico, andava pensando:

“Sono io che mi sono stancata di offenderlo piuttosto che lui di perdonarmi”.

È possibile che noi si rinunci – per stanchezza o per altro – ad offendere Dio, ma tale atteggiamento non sarà necessario per rendere Dio capace di perdonarci. Lui non si stanca di farlo… malgrado noi!

Nono esercizio.
Fino a questo punto pare si stiano – in larga misura – privilegiando esercitazioni a tavolino. In realtà, si tratta di costruire trampolini di lancio verso il mondo; senza una previa chiarificazione di alcuni concetti, si rischia di andare verso gli altri con proposte che di cristiano hanno ben poco. Il fine che sottende quanto abbiamo finora detto, chiaro, è quello enunciato da Charles de Foucauld:

“Per la diffusione del santo Vangelo sono pronto ad andare in capo al mondo”.

Ad ogni buon conto, questo slancio deve essere neces sariamente supportato da una serie di conoscenze e di accortenze che richiedono un periodo di formazione non viziato da frettolose smanie evangelizzatrici. Cosa si aspetta il mondo? Ci dobbiamo esercitare a fronteggiare quali richieste? Ritengo che abbia risposto, nel modo giusto, Françoise Marty:

“Il mondo aspetta che noi gli diciamo nella sua lingua la verità su Cristo e sulla sua salvezza”.

Primo momento: imparare ad annunciare la Parola con la lingua comprensibile al mondo. L’esercizio della vita cristiana ottiene buoni risultati se riusciamo a far parlare la Parola attraverso le parole elette dal mondo senza snaturarla, tradirla.

Decimo esercizio.
Vivere da cristiani significa anche esercitarsi a compiere ogni gesto, azione, come se ne andasse dell’eternità! Non si può mancare di rispetto ad un brandello di realtà da quando Dio ha preso la carne umana ed ha camminato per le strade del mondo in Cristo. Non c’è ambito della realtà che si possa sprezzantemente definire ‘profano’.
Non sto suggerendo di infiltrare nella nostra fede posizioni panteistiche o genericamente sacralizzanti il mondo, ma di prendere sul serio le realtà… come ha fatto Dio. Teresa di Lisieux ci fornisce un esercizio non facile, ma necessario:

“Raccogliere un ago per amore può salvare un’anima”.

Si deve prendere non solo l’azione nei termini indicati da Teresa, ma anche l’orazione; questa, infatti, si fa servizio d’amore e salvifico quando lascia trasparire la fonte dalla quale deriva (Trascendente).
A questo punto, dopo aver indicato come esercitarsi ad agire, vediamo su suggerimento di Lucie Félix – Faure – Goyau, come svolgere l’esercizio del pregare:

“Esporsi a Dio per rifletterlo è il segreto dell’orazione”.

Il crisitano prega esponendosi a Dio non per goderne in privato, ma per rifletterlo nelle realtà terrestri.

Undicesimo esercizio.
Sembra scontato, ma non lo è! Chiamare ‘Padre’ il nostro ‘Dio’ significa esercitarsi affinché ciò non si converta in una fredda formula, né in una pacifica abitudine; ci deve sconvolgere questo pensiero! Lo scrittore cattolico francese Françoise Mauriac, non smetteva di pensarci e scriveva:

“Che strano, quando ci si pensa, amare l’Essere infinito, chiamare l’Essere infinito: Padre Nostro!”.

Dobbiamo esercitarci a sentire la stranezza o, se preferite, la portata positivamente scandalosa di una simile affermazione. Nulla deve divenire abitudinario nella fede. Ciò vale – sia detto non per transennam – soprattutto riguardo al peccato. Ci si abitua, ritenendole inoffensive, a piccole brutture, storture morali; forse, con buoni argomenti, si dimostra a se stessi che quel poco di buio non può spegnere le nostre stelle nel firmamento dei valori cristiani ai quali aderiamo. In realtà, dobbiamo svolgere sempre questo esercizio: proiettare, con la riflessione, sullo schermo del futuro quanto oggi appare allo stato larvale; ci accorgeremo, nella maggior parte dei casi, che non giova trascurare tante metamorfosi negative in noi e che, un giorno, ci si presenteranno come acquisito habitus comportamentale. Esaminarsi senza ossessione, ma esaminarsi! Doroteo di Gaza, antico studioso cristiano delle più riposte pieghe dello spirito, ammoniva:

“Facciamo attenzione alle cose quando ancora sono lievi, perché non diventino gravi. Altrimenti corriamo il pericolo di cadere sempre più nella totale insensibilità spirituale”.

Se diveniamo opachi spiritualmente, poi, perdiamo la percezione della –  oserei dire – strana bellezza che risiede nel chiamare ‘Padre Nostro’ l’Essere infinito e non saremo più nella condizione di innocenza per salvare un’anima raccogliendo – come si diceva nell’esercizio precendete – un ago per amore. Chi si oscura pecca due volte: si mette nel buio e smette di illuminare altri. Lo scrittore Léon Bloy – che ebbe una sofferta conversione – annotava qualcosa che veniva dalla sua stessa esperienza:

“Un uomo che commette un atto impuro oscura migliaia di cuori che forse nemmeno conosce ma che misteriosamente sono legati a lui e hanno bisogno che quest’uomo sia puro”.

Esercitarsi ad essere puri è procurare benefici a chi nem meno sospettiamo esista!

Dodicesimo esercizio.
Certamente siamo su di un terreno minato: la nostra psiche è minacciata e lo sconforto – nella crescita morale – è sempre possibile (anzi, certo). Ci si deve esercitare, però, a compren dere che avere le mani pulite perché le si usa assai poco, è meno onorevole che averle sporche perché si è fatto qualcosa per il bene. Chi non accetta il rischio nella vita di fede, non ha una fede matura. Nel Vangelo è detto con chiarezza: conservare (egoisticamente) la propria anima significa perderla. Esercitiamoci a convertire in amore quanto viene dopo i nostri errori (spirituali, morali) e non a rivangare il passato dando pieno campo alla memoria rancorosa.
Ad ogni esercizio proponiamo una guida spirituale che provochi a pensare in profondità. In questo caso, credo che sia di una portata sconvolgente (in senso buono) accettare la lezione di Gregorio Magno:

“Dio preferisce spesso una vita segnata da un amore ardente dopo l’errore a un’esistenza innocente addormentata nella sua sicurezza”.

L’innocenza non giunge a Dio quando è il frutto dell’ addormentarsi nelle nostre sicurezze.

Tredicesimo esercizio.
Dio è, indubbiamente, avanti a noi; tuttavia, Egli anche ci precede ed immancabilmente ci accompagna. Capita spesso, però, che la troppa vicinanza agli eventi ci impedisca di vedere la Presenza e che il troppo scoraggiamento per quanto ci sta accadendo ci oscuri l’orizzonte facendocelo apparire inabitabile da Dio.
La fiducia nella Presenza, allora, per mantenersi costante, abbisogna di un nuovo esercizio. Il tredicesimo, infatti, tende a far comprendere che non sempre è possibile vivere il momento e sentirlo abitato dal Padre; spesso, l’ermeneutica attenta di ciò che è stato mostra con più evidenza le tracce divine impresse sul nostro percorso.
Il cardinale John Henry Newman, nei Sermoni, saggiamente insegnava:

“Spesso ci capita di scoprire la presenza di Dio nella nostra vita solo dopo, quando guardiamo indietro”.

Ci si deve esercitare a guardare con fiducia al futuro, ma anche al passato; anzi, forse è proprio questa riflessione retrospet tiva che può concederci prestiti fiduciali per l’avvenire.

Quattordicesimo esercizio.
Impariamo ad affinare la nostra percezione di Dio nelle cose. Egli, come amava dire Padre Monier,

dorme nel mondo minerale,
sogna nel vegetale,
si sveglia nell’animale,
pensa ed ama nell’uomo.

Esercitiamo tutti i nostri sensi a percepire la Presenza in tutte le cose. Ripeto: non si vuole divinizzare la natura (non è atteggiamento cristiano); piuttosto, si tratta di imparare a guardare nelle cose in quanto linguaggio cifrato della Trascendenza. Personalmente, amo – da qualche anno – fare un esercizio che attiva la mia sfera affettiva (che non è aliena dal teologico e dalla fede): se vado in un posto nuovo cammino sempre pronto a scorgere una chiesa come se vedessi comparire da lontano la casa di un amico, dell’ innamorata… Si tratta di esercitarsi a cogliere i segni del Trascendente come una sorpresa che ci struttura positivam ente l’interiorità. Questa esperienza, in verità, mi venne suggerita dal famoso Curato d’Ars. Diceva:

“Quando siamo in cammino e vediamo un campanile, questa vista deve farci battere il cuore come la vista della casa dell’amato fa battere il cuore della sposa”.

Per esercitarci anche alla vita ecclesiale, credo, per scoprire il gusto dell’ekklesia, questo suggerimento va tradotto in azio ne. Non tarderete a scorgere i frutti di questo esercizio che coinvolge molto la nostra affettività che, anche riguardo ai rapporti con gli altri, patisce, oggi, gravi mutilazioni.

Quindicesimo esercizio.
Il fine dei nostri esercizi, in fondo, è quello di mostrare che la vita cristiana ha molto in comune con la gioventù: esige slancio, entusiasmo, voglia di ricominciare sempre e ad ogni costo… Ci si eserciti a vivere una ‘spiritualità’ peren nemente on the road e come work in progress. Un maestro indiscutibile della vita spirituale, San Giovanni della Croce (uomo di molte sofferenze e non solo interiori), nella Salita al Carmelo, annotava:

“Nella vita spirituale non progredire significa arretrare”.

Facciamo – anche se solo mentalmente – questo esercizio: procuriamoci delle transenne e mettiamole dietro a quanto stiamo vivendo per indicare che è proibito unicamente andare all’indietro. L’idea è di Monsignor Chevrot:

“Mettete barriere nelle vostre vite ma… mettetele dietro di voi, per non indietreggiare”.

Sedicesimo esercizio.
Tempo fa scrissi un opuscolo intitolato Custodire il Custode. Intendevo mostrare che, non solo abbiamo necessità di essere custoditi da Dio, ma anche necessità di custodirLo; sì, metterLo al riparo dalle metamorfosi nefaste che un’insana idea del divino gli procura; al riparo dalle caricature alle quali, spesso, una ‘fede immatura’ Lo assoggetta. Caterina da Siena, a tal proposito, ricevette – in visione – addirittura un invito dal Signore in questi termini:

“Abbi cura di me, e io avrò cura di te”.

Il cristiano deve osare prendersi cura di Dio! Se è falso il Signore che adoriamo, non ricaveremo alcun bene dal metterlo nelle nostre vite. Di noi può curarsi soltanto il Dio vero e Lo si incontra sempre e soltanto anche grazie ad un nostro attento e maturo lavoro di custodia. Il primo esercizio da praticare per ottenere questo, a mio avviso, consiste nel non pretendere che i tempi ed i pensieri di Dio (come insegnano anche i Profeti) siano i nostri. Ritengo indispensabile esercitarsi nella comprensione di un insegnamento che viene da un sacerdote che, oltre a coltivare una sana spiritualità, si diede anima e corpo alla causa dei poveri e dei senza tetto francesi, l’Abbé Pierre:

la Provvidenza ci ha sempre dato ciò che è veramente neces sario… con un quarto d’ora di ritardo… per non trasformarci in bambini viziati”.

Diciassettesimo esercizio.
Se non c’è l’uomo integrale, che ha armonizzato tutte le proprie facoltà e dimensioni, non può esserci il cristiano. Partendo dall’indiscutibile convinzione che il cristiano è l’uomo dell’essere e della prassi, va detto che si è davvero testimoni del Vangelo quando si tengono in tesa relazione l’apertura al Trascendente e l’attenzione attiva per l’immanente. Lo diceva, apertis verbis,  Giovanni Paolo II:

“L’uomo integrale è fatto di apertura all’assoluto e di ardente carità”.

Assoluto: attenzione all’Altro; carità: attenzione all’altro! Una spiritualità disincarnata ed un attivismo privo di spiritualità sono estremi letali per la vita cristiana. Un poeta francese, Charles Péguy, ha lasciato una lezione che, per la morale cristiana, ha un valore incommensurabile:

“Lo spirituale giace sempre sul letto da campo del temporale”.

Non è detto, però, che sia soltanto l’impegno politico la dimensione nella quale si può avere giusta cura per il ‘temporale’; è una delle vie, ma la carità entra nel mondo attraverso infinite porte ed ognuno deve scegliere quella dalla quale gli è più agevole passare. In questo, ovvio, l’esempio è Gesù stesso. Di Lui – diceva acutamente Padre Chenu – sappiamo che non ha fatto ‘politica’, ma di certo era ‘impegnato’. Esercitarsi nel campo del temporale è aprirsi ed aprire varchi significativi verso il Trascendente. Padre Chenu diceva pure qualcosa riguardo a questa ultima mia annotazione e valga come stimolo ad esercitare la nostra fede servendo nel modo giusto le ‘realtà terrestri’:

“Ovunque esiste umanizzazione esiste capacità di diviniz zazione”.

Diciottesimo esercizio.
La strada per amare Dio passa attraverso il servizio reso all’uomo non per motivi filantropici o per obbedienza a dottrine intramondane, ma per la perfetta aderenza alla Parola. Un teologo francese contemporaneo ci ha segnalato l’importanza di esercitare la nostra mente cristiana, rivestita come vuole Paolo degli stessi pensieri del Cristo, a pensarla in questi termini. Scrive Christian Duquoc:

“Là dove l’uomo è rispettato, amato per se stesso, il Regno di Cristo è già in cammino”.

Non è una battaglia facile difendere l’uomo nel nostro tempo (lo è mai stato?). La lotta spirituale del cristiano deve mirare a scorgere sempre più chiaramente nei volti la traccia del Volto. Non c’è lotta spirituale che non giaccia, come sopra diceva Péguy, sul ‘letto da campo del temporale’. Siamo in tempi funestati, come tutti sappiamo, dal terrorismo islamico. In una intervista, l’imam Tchina Dahmane Abdullah (che vive da molti anni in Italia), ha spiegato con una storia cosa sia veramente il jihad (malamente tradotto con ‘guerra santa’): un giorno un giovane si presentò a Maometto e gli disse che voleva fare il jihad per conquistare il paradiso. Il profeta gli rispose: - Torna dalla tua mamma, sta con lei, il paradiso è sotto le sue ali. Anche il cristiano deve esercitare la propria coscienza a comprendere che il paradiso è stare con amore con chi si ama e ci ama.

Diciannovesimo esercizio.
Purifichiamo la mente, l’interiorità da immagini meschine di Dio. Per vedere la Sua luce – diceva giustamente Thomas Fuller – occorre spegnere la nostra piccola candela. Vi siamo, ahimé, troppo affezionati, a volte; per cui, ci riesce più facile attaccarci ad una teoria su Dio che al Dio vivo che sconvolge le nostre posizioni teoretiche ed esistenziali. Padre Monier, diceva:

“Dio non si prende, si riceve”.

A noi tocca esercitarci a preparare il luogo che Lo accolga quando si donerà. L’attesa, l’attenzione sono categorie che Simone Weil (che non ebbe atteggiamenti teneri verso la Chiesa) ha illustrato a sufficienza. Il cristiano è uno che sa di doversi ricevere dalle mani di un Altro che può venirci vicino solo perché lo vuole: siamo creature che si ricevono da Colui che si può solo ricevere – direi con intonazione (mi si perdoni) quasi agostiniana. Era un simile atgomento, forse, che fece esclamare a Sant’Ambrogio:

“Il ringraziamento è il primo dei nostri doveri”.

Ventesimo esercizio.
Madeleine Delbrêl, che spese la vita ad evangelizzare gli abitanti dei quartieri atei di Parigi, sapeva bene quante disillusioni avessero generato nei cuori umani le cosiddette pasque laiche. Parlava di spiritualità della bicicletta: correre, correre sempre verso l’altro mancante della Parola. Madeleine, smaliziata più di tanti che si proclamano disincantati verso il cristianesimo e plaudono a seduttori politico – ideologici, annotava:

“Non bisogna mescolare il Vangelo della salvezza con le ricette di felicità che il mondo esalta”.

Mai come in questi tempi, soprattutto noi laici cristiani, dobbiamo avere a portata di mano la bicicletta di Madeleine e pedalare, inesausti, verso un mondo sempre più scristianiz zato. Andare in bicicletta, però, richiede, ovvio, esercizio continuo e conoscenza dei percorsi. Qualcuno può tirarsi fuori semplicemente asserendo che la fatica è molto più grande delle forze di cui è dotato per sostenerla? Nessuno mi venga a dire che non occorre fare sforzi sovrumani per fronteggiare le minacce e finanche le proposte positive del mondo contemporaneo: siamo sovraccarichi di stimoli visivi, intellettuali… siamo sempre pronti a risvegliare il nostro desiderio per quanto il mercato ci fa credere indispensabile, per avere un aspetto fisico seducente…
In conclusione, tengo a dire che ognuno ai venti esercizi cristiani proposti può aggiungerne altri.
Resta fermo, invece, che lo sforzo non è qualcosa che interessa unicamente la vita cristiana, ma ottiene il ruolo di protagonista anche nelle occupazioni (e preoccupazioni) di piccolo cabotaggio. Esercitiamoci, dunque, a convogliare ogni sforzo verso mete più ambiziose perché – se la fatica è la stessa – il senso di quanto ci si sforza di realizzare non ha eguale valore. Valgano, allora, le parole del celebre predicatore americano Fulton Sheen:

“L’uomo di Dio per vivere nella santità spende le stesse energie del direttore di un’agenzia pubblicitaria, di un atleta o di una donna che vuole ad ogni costo rimanere giovane e magra. La differenza sta nel senso dei valori”. 

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